Il bello dei blog è quando riescono a far nascere qualcosa di virale. Se poi quel qualcosa che ne nasce ha a che fare con la cultura, con una passione... anche meglio.
Non è un caso che questa iniziativa venga proprio dal Caden Cotard de Il buio in sala. Perché? Semplice. Basta leggere le sue recensioni, scritte così bene e con una tale poesia, che non viene quasi da stupirsi che questa iniziativa venga da lui.
E leggere è proprio un qualcosa che mi ha accompagnato, insieme alle altre cose, per quasi tutta la mia vita (per dire... cinema, letteratura e fumetti sono le mie passioni principali, a pari merito) anche se, per certi versi, vuoi per le vie che ho intrapreso negli ultimi tempi o proprio per il semplice fatto che le recensioni ho deciso di scriverle, la scrittura (e di conseguenza, la lettura) ha uno spazio speciale.Quindi ecco qua i magnifici quindici, un numero propizio che mi permette di inserire titoli che con una più abusata topten avrei dovuto escludere.Ed è bello vedere come letteratura e cinema finiscano - inevitabilmente, vista la natura del blog - per incontrarsi più volte.Ma bando alle ciance e iniziamo.Da appassionato di fantascienza avevo avuto modo di conoscere in più di un'occasione il nome di Philip K. Dick, secondo solo a Stephen King in quanto a saccheggi cinematografici, e quando la Fanucci diede in ristampa tutti i suoi lavori mi fiondai a comprarli. La mia prima scelta, del tutto casuale, fu La svastica sul sole e fu il primo di molti. Forse non il migliore di questo autore (ma ha scritto così tanto e quasi tutto di qualità così elevata che è difficile scegliere) ma quello che me lo ha fatto conoscere e diventare uno dei miei autori preferiti.
Altra mia passione, seguita un poco prima del terribile periodo snobistico, fu quella verso i romanzi di Stephen King. Avevo quattordici anni, lo avevo sempre sentito nominare e avevo sempre visto in libreria i suoi libri, ma non l'avevo mai letto. Un giorno mi decisi e scoppiò la passione, in un anno lessi dieci sue opere e divenni un kingmaniaco.
Fu così che quando asserì che lo scrittore che lo influenzò più di tutti era tal Richard Matheson, decisi che dovevo leggere qualcosa di suo. E come non iniziare da Io sono leggenda, il suo romanzo più celebre (oltre che l'unico disponibile in catalogo ai tempi)? In qualunque modo si inizi il libro va comunque letto, perché è una delle più potenti, profonde e raccapriccianti riflessioni sulla diversità che mi sia mai capitato di leggere.
Una riflessione così profonda che arriva a far male. E una trasposizione così brutta che fa rivalutare la pena di morte.
Per quanto abbia sempre cercato di atteggiarmi da pseudo-duro, anche se con scarsi risultati, la batosta amorosa giunse anche per me. E fu un qualcosa di molto serio. Tanto che, brutto a dirsi, fui costretto a stravolgere la mia vita. Non potevo immaginare che quello per cui avevo deriso altri fosse successo anche a me, a me che mi vantavo di saper essere indipendente e che non sarei mai dipeso da nessuno. Eppure era successo. Fu in quel periodo che mi buttai nella lettura ancora più di prima e scoprii di Gregory David Roberts. Uno di quelli che: ehi, se lui è sopravvissuto a tutto quello che c'è scritto in Shantaram, io posso riprendermi da una cazzata simile.
Anarchico, poi tossico e infine rapinatore di banche. L'ultima azione lo costrinse a spostarsi in India, dove prese alloggio in uno slum e aprì un piccolo centro medico. E poi battaglie coi mujaheddin, intrallazzi mafiosi, un periodo in carcere, amicizie a Bollywood e una storia d'amore tormentata. Si dice che quello che c'è scritto è tutto vero...
Un altro dei miei idoli adolescenziali è stato il buon Franz Kafka - per fortuna che poi sono arrivati i Manowar a dare un poco di allegria. Lo conobbi perché, per quei pochi mesi che frequentai il liceo classico, mi fecero leggere Le metamorfosi e ne rimasi così meravigliato che di quell'autore volli recuperare tutto. Ad oggi, infatti, credo di aver letto ogni cosa che ha scritto fra romanzi e racconti.
Ma Il processo è il suo libro che preferisco, quello più sofferto, assurdo e pessimista. Un libro corto ma che racchiude al proprio interno tutti gli elementi tipici della scrittura kafkiana (ma questo Kafkian, chi è?) e che li porta a una conclusione assurda e cupissima. D'altronde, inutile negarlo, ma nella vita di tutti i giorni, molto più terribile di quello che può sembrare a prima vista, non siamo tutti accusati e accusatori?
Alle medie ho corso il rischio di disinnamorarmi della lettura. Diciamo che ho sempre letto molto ma, a causa di una professoressa terribile che ci imponeva letture di cui non mi importava nulla (me ne sarebbe importato dopo, senza contare che io penso che la lettura non andrebbe mai imposta) ho rischiato di mandare tutto a quel posto più di una volta.
Un giorno però ci nominò, senza costringerci a leggerlo, Il barone rampante di Italo Calvino, mettendomi molta curiosità. D'altronde, la storia di uno che decide di passare tutta la sua vita sugli alberi come può non incuriosire un undicenne? Lo lessi di getto e, col tempo, lo ripresi in man più di una volta, scoprendoci sempre delle cose che inizialmente non avevo colto. Forse non è il libro della mia vita, ma è sicuramente il libro di una vita, una delle più particolari e belle che io abbia mai letto. Una vita che non mi sarebbe spiaciuto vivere, magari, anche se un po' a piccole dosi.
Arriva un punto nella vita in cui non ne puoi più di fantasy. Alcuni si sentono rassicurati dal leggere sempre le stesse cose, mentre io vedevo il tutto come un grosso limite. Così decisi di provare a cimentarmi con uno degli 'scrittori impegnati' per eccellenza, tal Fëdor Dostoevskij. Avrei potuto iniziare dal blasonatissimo (ma ugualmente magnifico) Delitto e castigo, solo che in libreria non l'avevano più, quindi optai per I fratelli Karamazov, anche se le mille pagine di lunghezza mi avevano fatto desistere un poco.
Ma sono state mille pagine che il loro peso lo hanno avuto in maniera limitata. Perché innegabilmente una storia così profonda e complessa viene recepita in maniera ambigua da un sedicenne, ma quelle faide e gelosie sono riuscite a tenermi la mente sempre sveglia e la voglia di sapere come tutto sarebbe finito sempre accesa. Ed è ironico come i personaggi più distanti da quella che è la mia personalità, come Fëdor Pavlovič, siano quelli che mi affascinano maggiormente.
Coi professori ho sempre avuto un rapporto abbastanza traumatico. L'unico che ho veramente stimato l'ho avuto in seconda superiore, mentre quella che a livello letterario mi ha dato di più c'è stata all'ultimo anno della scuola d'arte. Ella ebbe l'accortezza di suggerirmi, non di impormi, delle letture, alimentando la mia curiosità e indirizzandomi verso dei titoli che ancora non conoscevo.
Il Maestro e Margherita, complice anche il sapere che è stato d'ispirazione per Sympathy for the Devil, mi affascinò in una maniera malsana, tanto che per un paio di mesi divenne una mia particolare ossessione. Finii per leggere I versi satanici di Salman Rushdie perché era direttamente ispirato a quel libro, e il fatto che mi sia piaciuto non so se è direttamente collegato alla cosa.
Resta il fatto che il libro di Michail Bulgakov è bellissimo, quindi una lettura obbligatoria.
Stephen King doveva esserci per forza. Il problema però era quale libro scegliere fra le decine che ha scritto. Ponderavo di mettere It, però devo ammettere che i sette libri de La Torre Nera sono stati un qualcosa che non ha avuto pari nella mia esistenza. Sette libri in cui il geniale autore del Maine ha riversato tutto il suo mondo, creando una sorta di collante fra quasi tutte le opere che ha scritto e creando un universo complesso e variegato, fondendo tutti i generi esistenti.
Perché questa saga per me è stata la conferma che ogni cosa, se scritta da un bravo autore, può essere possibile, che la fantasia e la letteratura non hanno confini manco dinanzi ai più grandi e folli sperimentalismi, come avviene qui. E il Re stesso afferma che non è stato molto soddisfatto del finale... beh, per me si è trattato ugualmente di un qualcosa di maestoso e magnifico, qualcosa che mi ha accompagnato per così tanto tempo e che non posso fare a meno di amare, nonostante tutto.
Lunghi giorni e piacevoli notti!
Certe letture che forse erano obbligare le ho fatte con un discreto ritardo. Ernest Hemingway è stato uno di questi autori, perché il grosso della sua produzione (prima avevo letto solo Il vecchio e il mare e qualche racconto) l'ho conosciuto solo dopo aver finito le superiori. Il che per certi versi è stato un bene, perché i suoi libri credo che li puoi apprezzare appieno solo dopo aver passato certe cose. O almeno, per me con Fiesta è stato così, perché a quindici o diciotto anni non credo sarei riuscito ad apprezzarlo come ho fatto a ventidue.
Anche perché è un libro che non parla di nulla e, al tempo stesso, finisce per parlare di tutto. Vita, amicizia, amore, voglia di rinascere e di mettersi in gioco... il tutto condito con un finale che, nella sua semplicità, è uno dei più belli e strazianti che io abbia mai letto.
Se ho deciso non tanto di scrivere, ma di mettermi in gioco con quello che ho scritto, lo devo in parte a questo libro. Scoprii il mondo delle case editrici indie quando un mio corregionale pubblicò, a soli diciotto anni, un libro con la Cicorivolta edizioni, che nel catalogo contenevano gli inediti di un certo Renzo Brollo. Ad oggi questo autore, del quale ho letto tutto, ha pubblicato solo con loro, ma penso proprio che si meriterebbe senza tanti problemi di poter firmare con un editore molto più grande.
Anche perché Mio fratello muore meglio ha quella che credo sia una delle trame più assurde e grottesche che io abbia mai letto, con una delineazione dei personaggi molto naturale e un'ironia onnipresente. Senza contare che poi mi ha fatto dire "Voglio provarci anch'io!", una piccola spinta verso la realizzazione dio un piccolo, grande sogno. Anche per questo, grazie Renzo!