Che giornata triste quella di ieri, giorno dedicato alla celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia.
Non che non ci si potesse aspettare qualcosa di diverso, stante il clima culturale e politico in cui ci troviamo a vivere in questi ultimi decenni.
Un clima che sicuramente non conforta a credere nel valore imprescindibile dell'unità nazionale, dal momento che le tendenze autonomiste, se non scissioniste, si fanno sempre più forti, mentre la bandiera dell'unità viene brandita da chi per una vita ha fatto di tutto per svilire i sentimenti di appartenenza nazionale e attaccamento alla Patria, fatta degradare al rango di Paese, in favore di utopie internazionalistiche e fratellanze universali.
Per questo sentire ieri l'orazione del presidente della repubblica Giorgio Napolitano, colui che ha speso una vita a lottare per la falce e martello, fino a giustificare gli interventi armati dei compagni comunisti in Ungheria, mi ha fatto pensare a quanto fosse strano che l'uomo non stesse invece ai giardinetti a dar da mangiare ai piccioni, piuttosto che al Quirinale.
L'impressione data ieri dalle manifaestazioni celebrative è stata quella di uno Stato vecchio, quando invece 150 anni dovrebbero rappresentare la sua infanzia, e di come esca male dal raffronto con la vitalità e l'entusiasmo delle recenti celebrazioni per il bicentenario dell'Argentina. per esempio.
Ma come scrivevo sopra non ci si poteva sperare in niente di diverso, se perfino la televisione pubblica ha trattato l'avvenimento con superficialità e sciatteria, risolvendo il suo impegno nella trasmissione della fiction "Eravamo solo in Mille", per di più già trasmesso anni fa, un fumettone di bassisima qualità e con riferimenti storici per lo più errati.
Soltanto pensare che in occasione del centenario la Rai produsse uno sceneggiato tratto dal romanzo di Ippolito Nievo " Le confessioni di un Italiano" fa comprendere del come in cinquanta anni l'attenzione, il rigore e il rispetto per quello che concerne i valori dell'appartenenza nazionale siano degradati.
All'inizio fu la Lega Lombarda, un gruppetto di allegri mattacchioni capitanati da un tale di nome Umberto Bossi, una specie di Masaniello del varesotto, a professare idee scissioniste in nome di una presunta patria padana, un'entità di difficile identificazione, ma soprattutto ad avanzare critiche più che motivate all'inefficienza dello Stato italiano.
Il gruppo di mattacchioni è oggi al governo dello Stato dal quale avrebbe voluto separarsi, ma più che per merito proprio, che se si andasse ad analizzare certe vicende di quel partito ci si renderebbe conto di quanto sia pasticcioni, per l'inettitudine di quanti avrebbero dovuto fornire risposte alle legittime richieste di efficienza e trasparenza manifestate da quelli che si erano fatti portavoce di una vasta opinione pubblica.
Il "successo" della lega Nord, divenuta poi Lega Nord assorbendo altri movimenti locali, ha infine prodotto decine di movimenti simili un po' in tutta la penisola (le isole hanno invece una tradizione consolidata), tanto che ci si deve oggi confrontare pure con il movimento "NeoBorbonico", che si prefigge l'obiettivo di far ritornare il meridione d'Italia ai fasti dello scomparso Regno delle Due Sicilie, descritto come una specie di Eldorado.
Così come la Lega Nord, anche quest'altri movimenti si distinguono per una attività quasi parossistica di propaganda, con la quale diffondono storie vere, semivere e completamente false, con le quali riescono a sedurre qualche ingenuo.
La più evidente è quella della ricchezza del Regno Borbonico depredata dall'avido Savoia, senza però mai specificare che questa ricchezza era appannaggio di una piccolissima frazione dell'elite al potere, mentre il resto del paese poteva fregiarsi del titolo di regione più povera e arretrata d'Europa, popolata da una moltitudine di miserabili servi della gleba, analfabeti e praticamente senza diritti ma, nella loro ignoranza facili ad essere aizzati contro i nemici di Dio, come fece il Cardinale Ruffo nel 1799 e come tentarono di fare gli emissari dei Borboni dopo il 1861, sfruttando il fenomeno del brigantaggio, endemico in molte zone d'Italia, per abbattere gli avversari ( da notare che lo spagnolo Juan Borges viene venerato dai neoborbonici come un santo e martire per la libertà).
Basterebbe avere dei normali strumenti di conoscenza è un briciolo di buon senso per capire che nel 1861 e infine nel 1870 il Sud Italia e Roma con gli stati papalini è finalmente uscita definitivamente dal medio evo, colmando un ritardo di secoli, mettendosi alla pari con gli altri stati nazionali europei formatisi già da lungo tempo.Ma a tanti fa piacere sognare di essere stati privati ingiustamente di chissà quali ricchezze, quando i loro antenati non facevano altro che spaccarsi la schiena per qualche latifondista.
Non che il settentrione stesse molto meglio, intendiamoci, povero era il sud e povero era il nord, dove si moriva di pellagra e di ignoranza, esattamente come al sud.
Da allora questa Italia unita di strada ne ha fatta, attraversando vicende storiche controverse sul quale sarebbe troppo dispersivo prolungarsi, e nessuno può negare che è oggi un paese moderno, con un'alta qualità della vita e dal benessere diffuso.
Il suo limite è ed è sempre stato però, l'incapacità di formare una classe dirigente all'altezza del compito di guidare uno Stato moderno e complesso.
Limite ancora più evidente oggi che la classe politica è composta da una moltitudine di persone senza specifiche qualità, formatesi nelle sezioni dei partiti, dove al massimo si impara ad organizzare e addomesticare competizioni elettorali, o da individui scelti tra anonimi personaggi, utili a servire il potente di turno.
Ma non è certo tornare agli stati pre unitari la soluzione ai problemi, sarebbe invece un tornare indietro all'egemonia dei grandi stati europei, ancora più forte di quella imposta oggi dalla Unione Europea a guida franco tedesca.
L'Unità d'Italia è un fatto è un valore da difendere, l'importante è farlo selezionando una classe dirigente capace e disposta a mettere le proprie qualità al servizio della collettività e questo è un compito che spetta agli elettori. Mettiamoci tutti allora una mano sulla coscienza e pensiamo bene a come comportarci quando saremo chiamati a pronunciarci.