Sono trascorsi ben trecentottantatré anni dall’eruzione del Vesuvio del 16 dicembre del 1631, un vero e proprio disastro consumatosi in quarantotto ore e che costò la vita a più di 4000 persone. Sicuramente uno degli episodi più violenti nella storia recente delle eruzioni vesuviane.
Prima di quell’episodio, il Vesuvio, per ben cinque secoli, aveva attraversato un periodo di stasi, nel quale era in attività a condotto ostruito. Una fitta vegetazione circondava non solo la parte esterna ma anche il cratere e c’erano fumarole presenti lungo l’orlo.
A partire dai mesi di giugno, agosto e dicembre del 1631, gli abitanti avvertirono le prime scosse ed i primi disagi, lo stato d’allerta era vicino. Alle 7 del mattino del 16 dicembre si verificarono le prime scosse, in seguito a fenomeni precursori macroscopici, tra cui deformazioni del suolo e terremoti ed all’apertura di una frattura nel fianco sud-occidentale del vulcano, che portò alla formazione di una colonna eruttiva di circa 15 km. Caddero massi e lapilli nelle zone ad est e nord-est del vulcano, ininterrottamente fino alle sei circa.
L’indomani si verificò una serie di esplosioni, con conseguente caduta di ceneri e temporali, che a loro volta portarono alla formazione di Iahars e colate di fango a nord, nord-est e lungo i fianchi. I paesi ai piedi del vulcano furono distrutti dai flussi piroclastici, che si estesero fino al mare di Torre del Greco e di Torre Annunziata.