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17 – Fog

Da Blanca Persaltrove

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Dopo aver perso di vista il fratello, Stefano aveva partecipato a una mostra collettiva che la vedova del professore aveva allestito per gli ex studenti. La mostra si era tenuta a novembre, nello studio dell’artista, e durante l’inaugurazione Stefano aveva studiato trepidante la reazione ai suoi lavori più sentiti e tutti inediti. Sul grande nudo a olio Fog, diafana e dai capelli così chiari da confondersi con il bianco delle piastrelle dipinte, era stesa su un tappeto rosso fuoco. Una serie di incisioni e stampe raffiguravano la sua musa sotto fitti reticoli di nebbia e anche i disegni che la ritraevano solo in abbozzo sembravano attirare l’attenzione degli ospiti. Stefano era davvero contento, all’ammirazione di tutti non ci sperava, vedeva i propri lavori come troppo personali per suscitare vero interesse, invece gli furono commissionate addirittura delle stampe. Qualcuno chiese il grande quadro e Stefano avrebbe fatto di tutto per non distaccarsi da quello che era il simbolo della sua rinascita artistica. L’assistente del professore era intervenuto nella trattativa e Stefano aveva infine accettato l’offerta generosa che gli avrebbe permesso l’acquisto di nuovi materiali. Alla fine Fog era andata a decorare la parete di un locale alla moda e gli aveva portato commissioni e nuovi estimatori.
A Claudio e Marcello era andata più che bene: avevano ricevuto richieste di collaborazione da altri artisti contemporanei, interessati a sviluppare le idee del grande artista scomparso, e ora lavoravano a un progetto di avanguardia. Luna, che partecipava all’esposizione con delle fotografie, era stata chiamata in un noto museo d’arte fotografica e aveva partecipato e vinto un concorso che, quell’estate, l’avrebbe portata a Londra. Adesso lei e Antonio studiavano l’inglese per partire insieme e Stefano aveva il sentore di aver perso l’amica, convinto com’era che non sarebbe più tornata a Milano e a Brera.
Il 1981, poi, era finito nel peggiore dei modi: con l’arresto di Mario. Stefano era stato interrogato, il suo appartamento passato al setaccio, ma il repulisti di settembre aveva facilitato la perquisizione e per lui non c’erano state conseguenze.
Saltò fuori che la Polizia pedinava da molti mesi Mario, che ammise di aver fatto sparire dagli archivi della questura dello stupefacente sequestrato. In seguito al suo viaggio in Venezuela di settembre, i colleghi avevano studiato le sue mosse, pedinandolo a casa di Federica, la moglie dello spacciatore cui avevano confiscato l’eroina mesi prima. Mario era stato stupido come pochi, era incredibile fin dove fosse riuscito a spingersi con la sua sicurezza, ma ormai era crollato il suo mondo e ora non aveva più nulla. Alla fine si seppe che Federica lo aveva fatto incastrare per ottenere uno sconto di pena per il marito.
Adesso Mario era in cella e non voleva contatti con nessuno. I loro genitori sembravano non rassegnarsi alla verità: «Da te potevamo anche aspettarcelo, Stefano! Sei sicuro di non saperne nulla, non è che ti copre?», gli aveva detto la madre, in un attimo di sconforto. Il gelo era sceso nella stanza e, dopo quella frase ignobile, Stefano aveva ripreso la sua vita escludendoli completamente.

A febbraio gli aveva scritto Gabriella: una fredda lettera d’affari dove la donna, che aveva sentito della sua recente popolarità, come sua prima mecenate pretendeva di presentarli al pubblico brianzolo, ricordandogli i guadagni che avevano fatto grazie alle sue conoscenze, l’anno precedente. Stefano non era un ingrato, né desiderava perdere un aggancio come quello della ricca provincia varesina, così le aveva telefonato e si era accordato per un incontro il giovedì seguente.
Adesso si trovava sul treno, era partito presto da Cadorna per non incontrare i pendolari e portava con sé una cartella di disegni preparatori, stampe e le fotografie dei suoi quadri nuovi.
Scese a Varese e si attardò in un bar per fare colazione e attendere un orario più consono: era un po’ agitato all’idea di incontrare l’ex amante, temeva la sua freddezza ed era una sensazione che non gli si addiceva, soprattutto ora che si trattava di affari. Salì sul mezzo pubblico che l’avrebbe portato vicino a casa di Gabriella. Il pezzetto di strada dalla fermata era in salita e la nebbiolina del mattino rendeva soffusi i colori intorno, anche se la luce di un sole malato di febbraio cominciava a filtrare, facendo sperare in una giornata più mite.
Stefano camminava spedito, guardando i giardini spogli e cosparsi di foglie umide e marcescenti e la neve non disciolta. Stava percorrendo l’ultimo tratto quando scorse, dietro la portafinestra, una figura ammantata di bianco. Il ragazzo si bloccò sentendo un nodo doloroso nella gola, incapace di respirare mentre riconosceva Fog nel viso giovane che fissava il cielo con occhi grandi.
Appoggiò la cartelletta sul muretto e si aggrappò alla cancellata. Chiamarla… ma in che modo?
La ragazza, inconsapevole della sua presenza a causa della bruma, spalancò i vetri respirando a fondo l’aria gelida e avvolgendosi nel grande maglione di lana bianca. Stefano poté scoprire i capelli scuri sciolti sulle spalle, la carnagione nivea e gli occhi di quel colore incerto del fumo, quando è scuro ma un velo d’azzurro o di verde si sfuma nel grigio. Il colore dell’acqua dello stagno che riflette il cielo. Il colore del temporale. Il colore che lui immaginava.
La giovane si riscosse, chiamata da qualcuno all’interno della casa, e richiuse in fretta i vetri.
Era Fog e una scossa lo prese, rendendosi conto che era la casa di Gabriella, quella! Afferrando la cartelletta si precipitò al campanello, il cuore a sbattere sul petto magro, i polmoni feriti dall’aria ghiacciata e la paura di piangere ferma ai limiti degli occhi. Stava impazzendo?

17 – Fog

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Tags: Arte, Fog, Racconto, Stefano

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