- Foto di Georges Azenstarck
Forse in occasione del cinquantennario, il massacro di Parigi del 17 ottobre 1961 uscirà definitivamente dall’oblio. Nella giornata odierna sono previste alcune iniziative commemorative, mentre il Collettivo 17 ottobre 1961 chiede che il massacro venga riconosciuto come crimine di Stato e ha scritto anche al Presidente della Repubbluca, Nicolas Sarkozy.
Anche Mediapart ha lanciato un appello per una nuova fratellanza franco-algerina e affinché ci sia un riconoscimento ufficiale da parte dello Stato e quindi un’acquisizione delle proprie responsabilità. Appello sottoscritto anche dal neo eletto candidato alle prossime presidenziali 2012 per il Partito Socialista, François Hollande.
La ricostruzione di quella sera è ancora oggetto di discussione tra gli storici. Di sicuro ci fu una violenza estrema. E ci furono morti. Tanti morti.
La Francia nell’ottobre del 1961 è impantanata nella guerra d’Algeria. Le negoziazioni che porteranno agli accordi di Evian del marzo del 1962 sembrano ad un punto morto e sul territorio francese, dalla fine di agosto, il Fronte di liberazione nazionale ha rotto la tregua riprendendo gli attacchi e gli attentati contro le forza dell’ordine. Il prefetto a Parigi è un l’ex collaborazionista, Maurice Papon che nel 1998 verrà condannato per crimini contro l’umanità. E’ lui che già nei mesi antecedenti ai fatti d’ottobre aveva autorizzato i suoi uomini ad usare le maniere forti promettendo copertura. Si arriva così al 5 ottobre quando viene stabilito il coprifuoco per i cosiddetti FMA, “Francesi musulmani d’Algeria“, impossibilitati ad uscire di casa dalle 18.
Il FLN si organizza per rispondere ad una misura chiaramente razzista che impedisce tra l’altro a molti operai di recarsi nelle fabbriche per il turno di notte. Organizza una mobilitazione a più fasi con scioperi e altri atti di disobbedienza non violenta: la manifestazione illegale organizzata per la sera del 17 ottobre fa parte di questa più ampia strategia.
Dal tardo pomeriggio, circa 30.000 algerini seguendo le indicazioni del Fronte cominciano ad arrivare dalle banlieues, diretti verso tre punti di assembramento: a ovest (Etoile), a sud (boulevard Saint Michel e boulevard Saint Germain); a est (l’area dei Grand Boulevards). Doveva essere una manifestazione totalmente pacifica, con donne e bambini. Qualsiasi arma era stata espressamente vietata e il sevizio d’ordine della manifestazione perquisiva tutti gli uomini in arrivo dalle periferie.
Venuta a conoscenza della manifestazione, la prefettura predispone per la gestione della piazza poco più di 1.600 uomini, un quantitativo di forze insufficiente che sarebbe in parte la causa di una risposta repressiva irragionevole.
I cortei vengono bloccati a ovest su Pont de Neuilly, a sud all’altezza di Pont Saint-Michel e a est a Place de la République. Sono questi i principali scenari del massacro.
La secretazione di alcuni archivi e a distruzione di altri non hanno permesso una ricostruzione il più possibile univoca degli avvenimenti. A partire dal numero delle vittime: chi minimizza parla di una cifra variabile tra i 30 e i 50 morti. Altri storici, tra cui quello più citato e conosciuto, ovvero Jean Luc Einaudi, parlano di un numero più prossimo ai 200. Tutti algerini. I feriti furono più di 2.000.
Per la versione ufficiale, il 18 ottobre, i morti saranno solo 3.
Nei giorni seguenti, le acque della Senna restituiranno molti corpi, mentre altri verranno ritrovati nei boschi di Boulogne e Vincennes: la polizia ha tentato di occultare le prove non semplicemente lavando in tutta fretta le strade con gli idranti, ma gettando i cadaveri nel fiume o lasciandoli nei boschi fuori la capitale.
La mattanza non finì quella sera. Migliaia di persone vennero rinchiuse su dei carri e deportate in centri di detenzione sparsi un po’ per tutta Parigi e vi rimasero alcuni giorni subendo sevizie e violenza. Secondo quanto rcostruito da Owni, in base allo studio di alcuni documenti della polizia, furono circa 12.500. Il 26 ottobre ancora oltre 2.000 persone erano rinchiuse in un centro a Vincennes.
Nessuno è stato chiamato a rispondere di quei crimini, la loro stessa narrazione è stata per lungo tempo un tabù. Come ha scrittto Claude Liauzu su Le Monde Diplomatique: “L’amnistia [per i crimini commessi commessi durante la guerra d'Algeria] comporta infatti anche l’obbligo dell’amnesia”.
Il massacro di Parigi del 17 ottobre 1961 aspetta ancora verità e giustizia. Una vicenda orribile insabbiata e dimenticata per 50 anni, una macchia di sangue secco sui pantaloni in stile coloniale forse non ancora del tutto dismessi (Libia, Costa d’Avorio… Siria?) della Francia sarkozista.
Sul sito di Mediapart si trova anche il documentario di Mehdi Lallaoui, Le silence du fleuve
Questo invece il trailer del documentario che dovrebbe uscire proprio oggi curato da Raspouteam