Magazine Diario personale

17 Settembre.

Da Ilariadot @Luna84
Questo periodo dell'anno, per me, ha sempre avuto odore di nuovi inizi. Non che pretenda di essere originale, certo. L'ho sempre detto, che Settembre è capodanno un po' per tutti: si fanno progetti. Si stabiliscono obiettivi. Si abbandonano abbronzatura e spensieratezza in favore di un ritorno alla routine. A Settembre si decide di andare in palestra. Di fare carriera. Di provare a sviluppare quell'idea. Di mangiare un po' di meno, risparmiare per un viaggio; magari soltanto leggere un po' di più. E per un momento, fosse anche solo un istante, si crede davvero di potercela fare. 

Non ci sarebbero così tante canzoni a parlare di questo mese, in fondo, se non fosse per tutti una nuova occasione. Eppure non è a questo che mi riferivo. No. Io parlavo delle date. Di questa data. Di un numero che a me non ha mai portato sfortuna. Era un diciassette di Settembre quando, in un aeroporto in cui non sono più tornata, sul boeing di una compagnia aerea che non ho mai più usato, m'imbarcavo per la più bella delle avventure. Era un viaggio lungo, di quelli che esigono valige più grandi di te. Nello stomaco, la lieve paura eccitata che precede le azioni che ti sembrano insensate; e poi, curioso a dirsi, sono proprio quelle di cui non ti penti mai. Ricordo che il volo era trascorso tra chiacchiere e qualche lacrima. Doveva essere così. In un film lo sarebbe stato. Non la conoscevo bene, Daniela. Giusto un incontro fugace in Via D'Azeglio alla consegna di un paio di moduli. Eppure entrambe, su quell'aereo, trovavamo giusto raccontarci la vita. La vita passata, la vita in Italia, la vita di pre-erasmus che ci aggingevamo a lasciare. Certe cose dette a lei, forse non le avevo forse ancora ammesse nemmeno a me stessa. Tanto non avevano importanza.Tanto lo sapevo, in quel momento come lo so ora, che quel viaggio mi avrebbe cambiata per sempre. Che quei dieci mesi a Málaga mi avrebbero resa una persona diversa. Una tornata con la gonna lunga, un top marrone e un fiore in testa, che in dialoghi di lingue mischiate sarebbe stata scambiata per spagnola. Una che, per guardare il mondo, indossava adesso un altro paio di occhiali. E non parlo soltanto della montatura. 

17 Settembre.


Era un diciassette di Settembre, solo un paio d'anni dopo, quando mi svegliavo in un'era distinta sul letto di casa mia. C'era ancora qualche scatolone da aprire. Il portaoggetti rosso e bianco dell'Ikea, un paio di tazze da caffé, la lampada bianca da scrivania. E tutti quei vestiti, ancora, i vestiti che non sapevo come accidenti far stare in un solo armadio. Il treno mi aveva ricondotta al mio paesello, assieme alla malinconia di una vita che lasciavo per sempre e le speranze di neo- laureata di un futuro per cui lottare. Un futuro che non credevo mi sarebbe stato cosí ostile. Centodieci e lode. Una tesi ben fatta di scenari poi realizzatisi con immancabile precisione. Un blog. Qualche contatto importante. Le speranze del mondo che sentivo riposte su di me. Sarebbe bastato mandare qualche curricula, questo pensavo. Giusto un paio, poi avrei scelto tra proposte svariate. Presuntuosa, forse. Ottimista, di sicuro. A tratti spaventata dallo stesso momento di leggera depressione che due sere prima, sotto l'aria frizzante di Parma, mi aveva increspato l'animo. Il dialogo che ne era seguito mi avrebbe accompagnata, come un fantasma di melodrammatico, in tutti i momenti di sconforto degli anni a venire. Perché é esattamente cosí che si sarebbe svolto in un film. Tuttalpiú con un primo piano sulla lacrimuccia trattenuta a stento che nessuno ha visto nella benedizione del buio. “...e se poi non lo capisco, cos'é che mi rende felice?”. 

Quel 17 di Settembre mi ero svegliata consapevole che non ci sarebbero piú state sessioni d'esame, aperi-cena all'Aquolina, feste in appartamenti minuscoli o serate in Pilotta in mezzo alla settimana. Non ci sarebbero state sangríe al Tapas con Francesca dopo le lezioni di Tarantino, né la sveglia di Laura che suona troppo presto con note dei Rolling Stone. La mia vita di studentessa a Parma si era conclusa in un punto e a capo. Ora c'era da rimboccarsi le maniche, e capire com'era quella da donna adulta nel mondo del lavoro. 


17 Settembre.


Potrei andare avanti potenzialmente all'infinito. Ma oggi é un diciassette di Settembre, e per quanto il confronto apparentemente non regga, anche il disco che oggi esce é epico un bel po'. Per questo ho deciso di resistere, fan stoica ed attaccata ai rituali; per questo non ho ascoltato nulla, nonostante il lavoro degli hacker e le innumerevoli filtrazioni online. Doveva essere un diciassette di Settembre. Come detto. Annunciato. Scritto su carta ormai da un bel po'.


17 Settembre.


Ché Dani Martín, stavolta, non ha usato titoli. Si presenta cosí, con il suo nome e basta. Con il progetto di un elaborato pout pourrí (comunque si scriva) che – se tutto va bene – dovrebbe portarlo anche in terre italiane. Ad anticipare il tutto, un singolo che parla di ricominciare da capo. E tutta intera,  prepotente, inarrestabile, la montagna russa dei miei moti interiori. Io che l'ho "rinnegato". Allontanato. E ci ho sofferto. E poi di nuovo, mi sono entusiasmata. Esaperata. Nauseata. Io che non mi trovo piú a mio agio nella competizione d'invidia di alcuni tra i suoi fan. Troppo giovani, d'un tratto. Troppi decibel negli urli, troppe file nelle attese. Io che ho riscoperto in altri ambienti quanto seguire la musica possa essere invece ancora divertente; quanto sia piú bello parlare di arte  piuttosto che di una pettinatura; E poi peró non riesco a non attendere con ansia. A non fare progetti. A non sperare che un abbraccio mi riporti a quel che ero. Consapevole che quel che ero, tutto sommato, non potró esserlo mai piú. 

Ma Dani Martín é Dani Martín, e forsa la mia vita riuscirá a cantarla sempre. Anche oggi. Anche con questo lavoro. Perchè Dani è quel tipo di persona che incontra una tua amica a Madrid e inaspettatamente, senza che nessuno faccia il tuo nome, le chiede di te. Come sta Ilaria. Dov'è. Che fa. E dalle un bacio da parte mia. Tu lo vieni a sapere, lo ringrazi in un messaggio privato, e - sarà anche di due sillabe - ma la risposta fa dimenticare ogni rancore. 

Così ti trovi a pensare che, tutto sommato, pettinatura ed arte non sono necessariamente incompatibili. Clicchi compulsiva sul link della mensajería DHL. E d'impulso, all'insegna del "tutt'al piú faró del turismo" ti prenoti un volo per Bilbao. 

Ci ho fatto un outfit dedicato, a quel disco, manco a dirlo. Eppure, mentre lo ripropongo, mi viene in mente che oggi esce anche un greatest hits dei Negrita. Che magari non saranno tra i gruppi epocali della mia esistenza, ma ne hanno fatto parte – oh, eccome -  in modo abbastanza decisivo. Basti pensare alla videointervista in cui sono incappata per caso. Parlavano del rock argentino. Del Cile. Di una canzone che mi é rimbombata in testa per l'intera durata dell'estate. Mi sembra un segno, anche questo. Come mi sembra un segno che oggi, diciassette di Settembre, la mia migliore amica ha scoperto che in grembo porta una bambina. Il migliore dei risvegli, in sequenze di bip. 

"Finalmente ho un pretesto per compare le Barbie flamenche!", ché ora sembra tutto un po' piú vero. 

E' il diciassette di settembre. E, alla luce di tutto questo, ho deciso di iniziare a lavorare seriamente al mio secondo libro. Di strutturarlo, quantomeno, in attesa di tempo concreto per buttarlo giú. Poi magari sará l'ennesima idea che accantoneró dopo un capitolo e mezzo. Il contrario, ormai, non ve lo posso garantire. Peró oggi guardo il calendario, e di colpo mi sento fiduciosa. 


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