di Enrico Oliari e Ehsan Soltani
La crisi ucraina e i conseguenti rapporti più o meno autenticamente burrascosi dell’Unione Europea con la Russia stanno gettando le tracce di una nuova geopolitica del gas: per quanto sia difficile che realmente quanto sta accadendo nel paese di Kiev possa incrinare in modo duraturo i rapporti fra i due blocchi specialmente in tema di energia, certo è che la strategia delle minacce fa intravvedere nuovi e possibili scenari interessanti. E se c’è qualcuno che si preoccupa, qualcun altro si sfrega le mani.
Un clima di nervosismo.
Agli Stati Uniti che nei giorni scorsi si proponevano di portare in Europa il loro gas di scisto (shale gas), ha risposto lo scorso 7 aprile Alexander Dyukov, amministratore delegato della russa Gazprom, il quale ha fatto sapere Urbi et orbi che il colosso dell’energia potrebbe ricorrere all’euro per vendere gas e petrolio, abbandonando il dollaro, cosa che avrebbe un impatto devastante sull’economia americana. E potrebbe rivolgere le sue esportazioni ai paesi emergenti, le cui popolazioni si misurano in nove zeri.
Fatto sta che una settimana dopo il vice-premier russo Arakady Dvorkovich, incontrando a Mosca il premier Dmitri Medvedev, ha reso noto che sono in fase di conclusione i negoziati con la Cina per la fornitura di gas, in tempo per la visita a Pechino dello stesso Medvedev prevista per il mese prossimo. Gazprom e Cnpc discutono della cosa da dieci anni, ma fino ad oggi i due colossi dell’energia non sono mai riusciti a trovare un accordo che soddisfacesse entrambi, soprattutto a causa del prezzo, considerato esoso dall’azienda cinese.
A calmare gli animi e a rimettere le cose a posto ci ha pensato in un’intervista pubblicata su Panorama un altro Medvedev, Alexander, vicepresidente di Gazprom e direttore generale di Gazprom-export: “Le forniture di gas all’Europa non sono a rischio. La Russia ha fornito gas anche nei momenti peggiori, addirittura durante la guerra fredda, e abbiamo sempre rispettato gli accordi”, ha dichiarato. E ancora, “per diversi decenni a venire l’Europa non avrà altre fonti di gas naturale sicure”. (…) “Solo la Russia è in grado di rispondere alla crescita della domanda europea. Norvegia, Algeria, Regno Unito e adesso anche i Paesi Bassi stanno iniziando ad avere problemi derivanti dall’esaurimento delle loro risorse. Da un punto di vista economico, il gas liquefatto americano non può essere esportato in Europa a prezzi competitivi. Se per questioni politiche si dovesse decidere di esportare il gas americano nel vecchio continente, gli europei dovranno essere pronti a pagare prezzi più alti che per il gas russo”.
Forse la verità è un’altra: come c’è chi ha bisogno di comprare il gas, c’è chi ha bisogno di venderlo. E il mercato europeo rimane un mercato ricco e con garanzie di pagamento, per quanto la popolazione non si misuri a nove zeri.
L’Ucraina.
A sentire vivo il problema del gas è innanzitutto l’Ucraina, la quale con le rivolte di Piazza Maidan ha scelto di non aderire all’Unione doganale ideata da Vladimir Putin: paese dall’economia dissestata e sull’orlo del collasso, con il primo aprile l’Ucraina si è vista ritoccare il prezzo del gas russo destinato al paese da 0,268 dollari al m3 a 0,385 dollari, ma si è parlato persino di 0,485 dollari. Ad annunciarlo è stato il numero uno della Gazprom Aleksey Miller, il quale ha dichiarato che, a causa dei mancati pagamenti delle precedenti forniture (si tratterebbe di 10 mld di dlr), “Lo sconto di dicembre non può più essere applicato”.
In soccorso di Kiev è arrivata la tedesca RWE: il colosso dell’energia elettrica con sede ad Essen, nella Renania Settentrionale – Vestfalia, ha infatti iniziato a vendere il proprio metano a Kiev, unica tra tutte le società europee a farlo dall’inizio delle ostilità con la Russia, tramite un gasdotto che attraversa la Polonia. Si tratta di un contratto firmato con l’ucraina Naftogaz per una fornitura annuale a pieno regime di 10mld di m3, al prezzo, com’è stato spiegato, “d’ingrosso europeo”.
Attualmente il 40% del gas russo arriva in Europa passando per l’Ucraina, ma Gazprom, Eni, Edf e Winterhall stanno costruendo il gasdotto South Stream, che dalla Russia porterà il metano passando sotto il Mar Nero fino in Puglia e in Austria… giusto per escludere crisi del gas come quella che nel 2006 aveva interessato proprio l’Ucraina.
Nuovi protagonisti.
Ma ci sono altri gasdotti in progettazione e in costruzione. Ed altri interessi che sui muovono: il Tanap (Trans-Anatolian gas pipeline) e il Tap (Trans Adriatic Pipeline) porteranno il gas in Europa da Baku, capitale di un paese, l’Azerbaijan, dai ricchi giacimenti. E visto che i tubi ci sono, perché non coinvolgere nei progetti anche altri paesi la cui partecipazione avrebbe come effetto l’integrazione in un contesto più globale e la stabilizzazione delle varie aree?
Il caos libico e i traballanti rapporti fra Ue e Russia potrebbero, per assurdo avere effetti positivi persino nelle relazioni con l’Iran, paese che possiede il secondo giacimento di gas naturale al mondo, ancora tutto da sviluppare a causa delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale per via della questione sul nucleare; si stima che nel suo sottosuolo vi siano 29,6 mld di m3 di gas, con una vita media delle riserve calcolata in 210 anni contro i 74 della Russia.
Il ministro iraniano del Commercio, Mohammad Reza Nematzadeh, ha per l’appunto osservato che “l’Iran dovrebbe essere considerato un partner affidabile per le forniture di gas naturale verso l’Europa“, sostenendo che il governo sta esaminando un gasdotto per trasportare il gas dal sud dell’Iran alla Turchia. ”In futuro vogliamo avere un ruolo di primo piano nel mercato internazionale del gas”, ha aggiunto Nemazadeh.
Ma anche l’Iraq ha mostrato interesse all’esportazione di gas: Il 10 febbraio scorso a Baghdad l’iracheno Hoshyar Zebari si è visto con l’omologo ministro degli Esteri dell’Azerbaijan, Elmar Mammadyarov, dove questi ha reso nota l’offerta formulata al governo iracheno di aderire al progetto del gasdotto del Corridoio meridionale, che porterà l’energia in Europa.
L’Italia.
In Italia il gas naturale viene immesso nella Rete Nazionale attraverso sette punti di entrata, in corrispondenza delle interconnessioni con i metanodotti di importazione (Tarvisio, Gorizia, Passo Gries, Mazara del Vallo, Gela) e dei terminali di rigassificazione Gnl (Panigaglia, Cavarzere): il principale fornitore è l’Algeria, da cui proviene attraverso Mazara del Vallo il 32,7% del metano importato; quindi il 28% arriva dalla la Russia attraverso Tarvisio e Gorizia. Seguono i paesi del Nord Europa, i quali fanno confluire a Passo Gries, nella piemontese Val Formazza, i metri cubi provenienti soprattutto da Paesi Bassi (5,3%) e Norvegia (3,3%). Infine, il 5,1% delle importazioni giunge dalla Libia a Gela, e il restante 25,6% da altri paesi.
Per quest’anno sarà ultimato il Galsi (Gasdotto Algeria Sardegna Italia), che porterà il gas dall’Algeria a Piombino, passando per la Sardegna.
Fonte: Notizie Geopolitiche
News
News
Intervista
- Parliamo di Shale Gas - Intervista ad Alessandro Clerici, WEC
News
- Gas: Approvato il Programma di conformità di TAP