Resto assai perplesso nell’apprendere che la Cassazione ha confermato la condanna di un giornalista ritenuto colpevole di essersi fatto «concausa della lesione dell’altrui onore e reputazione», addebitata a chi intervistava, col rivolgergli domande «allusive, suggestive e provocatorie», e il fatto che la parte lesa sia un magistrato dà alla perplessità ragione di un mezzo sospetto. Poi c’è che il giornalista condannato mi è assai simpatico… Insomma, mi metto alla ricerca di quell’intervista. L’intenzione è quella di buttar giù un’arringa fuori tempo massimo cercando di dimostrare che la sentenza è un attentato alla libertà di stampa. Conto, se possibile, di lasciarmi andare all’allusiva, suggestiva e provocatoria insinuazione che la sentenza è prova di un’odiosa autodifesa degli interessi della casta dei magistrati.Da subito, però, sbatto contro un muro: la data di pubblicazione dell’intervista (3 novembre 1997) corrisponde a un giorno della settimana (lunedì) in cui a quei tempi il giornale non era in edicola. È possibile si tratti di un refuso, ma la cosa strana è che riesco a trovare sul numero del 28 aprile 2003 di quel giornale un estratto della sentenza di condanna nella quale vi è testuale riferimento alla pubblicazione dell’intervista in data «3.11.97».
In tutti i casi si tratta di articoli sui magistrati della Procura di Milano. Perché sono scomparsi? Non so darmi una risposta certa, e non voglio neppure provare a darmene una. So solo che mi è passata la voglia di esprimere solidarità a Marcenaro e a Il Foglio.