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18, golpe che parla

Creato il 25 marzo 2012 da Albertocapece

18, golpe che parlaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Monti ieri: “Il testo della riforma sul mercato del lavoro è stato approvato “salvo intese”. “Nessuno si illuda che significhi che forze importanti che abbiamo ascoltato ma esterne al governo, possano in qualche modo intervenire”. Si tratta cioè di “un processo di affinamento di un testo complesso ma non è aperto a contributi esterni”.
C’è chi si adombra quando si parla di golpe sobrio, allora diciamo che si corona un processo autoritario con il Parlamento che si limita a ratificare i decreti emanati dal potere esecutivo. Come ha detto qualcuno la Repubblica non è più Parlamentare ma “governamentale”.

Un esecutivo che governa e un Parlamento che vigila alludono o forse preludono ad un semipresidenzialismo, in gran parte già realizzato con questo governo del presidente, che come osserva argutamente il Simplicissimus si sente incrollabile e insostituibile baluardo di quell’assetto che ha contribuito a minare. C’è chi sostiene che l’azione del Presidente è congrua perché coerente con le modifiche in senso bipolare dell’ordinamento della forma di governo, che favoriscono, in caso di necessità, una pratica bipartisan fra gli schieramenti politici, rivelando paradossalmente quanto il bipolarismo sia in conflitto con la Costituzione. Per altri la condizione attuale non sarebbe una sospensione della democrazia ma la benefica sospensione della competizione tra forze politiche e lo dicono proprio quelli che hanno sempre sostenuto che l’anima della democrazia era la competizione tra partiti. In realtà di stratta di concezioni in aperto contrasto con l’articolo 49 della Costituzione, che definisce come centrale il ruolo dei partiti.
Democrazia avrebbe voluto che si andasse alle elezioni, per evitare un governo imposto dai centri del grande capitale italiano, molto prima che dall’Europa, che dimostra di perseguire l’annullamento delle mediazioni di classe e incaricato di fare ciò che nessuno schieramento o partito può permettersi di fare, perché significherebbe pagare un forte scotto alle prossime elezioni.

Ma quello che continua a stupire è ll’indifferenza dei più, informazione in testa, per questa sospensione che è della democrazia e dei partiti stessi, che si accontentano della prospettiva di essere ripescati in seguito quando il potere del capitale avrà avuto la meglio sulla società e il gioco sporco sarà compiuto dalla «competenza» e dalla «responsabilità» vicarie di una rappresentatività immiserita e incapace.
C’è una teoria in un libro pubblicato con grande ritardo in Italia e che si intitola “La società eccitata. Filosofia della sensazione, di Christoph Türcke. Descrive un sistema sociale dominato dal mercato che usa l’industria culturale e l’intrattenimento per costruire un consenso passivo dei singoli allo status quo. Ma, per timore che questo non sia sufficiente ad anestetizzare i cittadini per far loro digerire punte sempre più elevate di sfruttamento, ingiustizia e disuguaglianza, induce shock emotivi a ripetizione, in modo che la sopraffazione diventi un’abitudine, in una reiterazione “naturale”. Gli shock emotivi consistono nella diffusione di immagini tese a provocare spaesamento, insicurezza, ma anche nell’ossessivo alimentare la paura degli altri, del diverso e del nuovo, e il richiamo a austerità penitenziali, all’espiazione della ricerca della felicità, al soggiacere alla necessità.

La società eccitata è dunque il trionfo dello spettacolo, della rimozione, ma anche dell’isolamento diffidente e inclusivo per cercare zone franche che offrano riparo e sicurezza.
Così lo shock emotivo del capitalismo contemporaneo è solo apparentemente un fattore destabilizzante dei fattori regolatori del legame sociale, in realtà ha l’aspirazione a produrre un ordine sociale persuasivo alla soggezione, alla difesa dagli altri mediante la rottura dei vincoli solidali.
È la vittoria di una ideologia sulle idee, sui principi e sui valori della civilizzazione e della coesione sociale. Per questo va rivendicato che l’articolo 18 è davvero un tabù che non si deve abbattere: il suo azzeramento è un invito a continuare su una strada che fa di noi un paese subalterno, destinato a mantenersi ai livelli tecnologici più bassi e con un mercato del lavoro nel quale si istituzionalizza la precarietà ampliando l’ “esercito industriale di riserva”, secondo le esigenze della nuova schiavitù. Solo difendendo il lavoro dalla malafede e dall’ignoranza del mondo di questi “uomini di mondo” possiamo aspirare a restare “cittadini”.


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