GHAZA, ITALIA, MEDIO ORIENTE, MONDO
Per aggiornarvi in maniera dettagliata sugli ultimi sviluppi in Egitto, vi invito a leggere questo bellissimo ed esaustivo articolo di uno scrittore egiziano, Alaa Al-Aswani. Incollo qui sotto un brano importante della sua esposizione, ma consiglio vivamente di leggere tutto il suo resoconto linkato qui.
“Ad ogni modo, i gravi incidenti a cui l’Egitto ha assistito non sono dovuti soltanto all’assenza della polizia. Sembra esservi un complotto la cui implementazione viene portata avanti passo dopo passo per far sì che l’Egitto sprofondi nel caos totale, in modo da aprire la strada a qualunque cosa vogliano compiere i nemici della rivoluzione. A questo complotto prendono parte elementi interni ed esteri. Vi sono gli esponenti del vecchio regime, attualmente in stato di detenzione in attesa di essere processati, e i loro seguaci all’estero, che sono pronti a spendere milioni per sabotare l’Egitto e vendicarsi della rivoluzione che ha sottratto loro il potere gettandoli in galera. Essi senza dubbio stanno collaborando con alcuni funzionari dei servizi di sicurezza che possiedono tutti gli strumenti necessari per sabotare la rivoluzione: informazioni dettagliate su tutte le istituzioni della società civile egiziana, esperienza, armi, e agenti infiltrati ovunque.” (Poi spiega le forze in gioco e tanto altro).
Qui un bel resoconto della manifestazione a Gaza nella data in cui ricorreva l’anniversario della occupazione sionista – cui ho accennato già nel mio post precedente. Oltre ai palestinesi, presenti manifestanti e attivisti da Egitto, Siria, Libia, Italia e da altri paesi.
Almeno 24 manifestanti sono rimasti feriti al Cairo il 15 maggio vicino all’ambasciata d’Israele durante scontri durati diverse ore tra forze dell’ordine e manifestanti che protestavano per il terzo giorno consecutivo in solidarietà con la Palestina in occasione dell’anniversario della Nakba, la “catastrofe”, come è chiamata dagli arabi la nascita dello Stato ebraico nel 1948 e la conseguente pulizia etnica dei palestinesi. La folla chiedeva l’espulsione dell’ambasciatore di Israele e la rottura della relazioni diplomatiche con Tel Aviv. Molto ma molto bello e da leggere per vederci più chiaro questo articolo.
Passiamo ora alla parte più personale di questo blog: le impressioni micro, filtrate dalle antenne della sottoscritta, in Italia. Se mi passate lo spaccato personale e il pathos che ne costituisce parte reale e integrante. Arrivare in questo paese oggi dopo un periodo all’estero ti sbatte addosso l’impressione di un popolo spaccato in due, in cui tutti gridano e quasi nessuno è disposto ad ascoltare. Non mi dilungherò sulle questioni di Governo e opposizione perchè ci sarebbero da scrivere dei libri, e non è questa la sede, ma questa volta non riesco a ritrovare il mio paese. Le persone sono nervose e pronte a scattare per un nonnulla pur di attaccare qualcuno. Corrono, non ti guardano negli occhi, si lamentano. D’un tratto la vita qui sembra di plastica. Ieri mi sono trovata la strada bloccata da un’auto rimasta in panne, con due occupanti. Avevo fretta, avrei potuto ancora fare retromarcia e andarmene, o premere perchè liberassero il passaggio. Poi, ho pensato a quello che ho imparato dagli arabi, e sono uscita dal vecchio schema. Anzichè aspettare spazientita o suonare il clacson, come hanno fatto i conducenti giunti dopo, sono scesa a sentire la loro storia. Avevano bisogno di ricaricare la batteria. Tutto qui. Erano due signori nervosissimi perchè si rendevano conto del disturbo che stavano causando: loro in quel momento bloccavano la ruota della produzione, la ruota cieca dei criceti su cui tutti corriamo tutti i giorni dell’anno pronti a passare persino sul corpo del nostro migliore amico pur di non arrivare in ritardo, pur di non ostacolare la corsa, pur di non fermarci ad ascoltare. Ho continuato a pensare all’Egitto per tutto il tempo, a tutti i favori che là mi sono stati concessi, gratis e con grande generosità. Ho telefonato alla persona che mi aspettava, li ho aiutati a spingere la macchina di lato per liberare la strada, poi, fatti passare i primi, l’ho occupata io per affiancarmi a loro e attaccare finalmente i cavi alla mia batteria. Nel collegare i cavi, l’uomo tremava. In quel momento sei la pedina sbagliata, sei l’anello debole della catena, rallenti la corsa della città, e lo sai. Allora gli ho fatto capire che c’era tutto il tempo del mondo, che io non avevo fretta e gli ho detto che se non ci aiutiamo tra di noi non ci resta più niente. Nessun altro è sceso a cercare di capire: ovviamente tutti, come avrei fatto io qualche tempo fa, erano solo concentrati sul riuscire a passare dalla strettoia il più presto possibile. A nessuno interessa cosa succede fuori. Siamo in uno stato cristiano e cattolico per eccellenza, eppure dare la precedenza ad aiutare chi ha bisogno, essere pronti a farlo sottoforma di imprevisto che può toccarti in ogni momento, non sfiora più nemmeno l’ultimo pensiero di un italiano. Spero di sbagliarmi. Ma dopo giorni ad assistere a discussioni politiche, dopo settimane ad assorbire questo nervosismo e queste paure ormai quasi incontrollate, dopo settimane a cercare di re-inserirmi in una realtà che non mi lascia entrare, ieri ho deciso semplicemente di essere straniera. Ho già vissuto la situazione di dovermi integrare all’estero in tutto e per tutto ben due volte – e la prima volta avevo solo 20 anni. Conosco le sensazioni, l’inadeguatezza e lo scollamento. Va bene, sarò una straniera a casa mia.
Da quel momento mi sono sentita meglio. Riesco a vedere le cose dall’esterno senza lasciarmene schiacciare. Non è un tradire l’Italia, con la quale mi dibatto da anni in un intenso rapporto di odio-amore. E’ solo l’unico modo in cui posso sopravvivere adesso quando non mi sento rappresentata e non riesco a trovare nel prossimo nemmeno un briciolo d’amore. Fatto che nutre un mal d’Africa cocente anzichè aiutarmi a guarirne. Conosco le situazioni di corruzione e violazione dei diritti umani dei “paesi in via di sviluppo”. Solo che là non mi sentirei mai sola o inassistita se rimanessi con l’auto in panne, se sbagliassi strada, se avessi scordato di fare la spesa, se perdessi un mezzo di trasporto (perché è la gente che fa la differenza). Qui, sì.
Devo trovare il modo di fare la mia parte – che per adesso è solo lei, la scrittura. E credo sempre di più che uscire dalla cacofonia, osservare e ascoltare (oltre che uscire dalla ruota quando qualcuno ci chiede aiuto) sia l’unica rivoluzione necessaria prima di passare all’azione (e dico azione, non attacco o offesa), e che questo sia l’aspetto che in assoluto più manchi in questo paese, in questo momento.