“Un vero disastro”. E’ il modo spiccio – molto britannico – con cui Alfred Hitchcock silurava il suo film Topaz, uscito negli Stati Uniti il 19 dicembre del 1969 e del quale il regista partecipava anche alla produzione. Nella carriera fin troppo prolifica di Hitchcock, probabilmente nessun film ebbe una sorte altrettanto magra, sotto tutti i punti di vista. Non piacque al pubblico. Non piacque alla critica. Fu il suo film più dispendioso.
Per la prima volta nella sua carriera, il Maestro non sapeva come concludere una storia e girò cinque finali diversi. Quello uscito in anteprima, giudicato troppo romantico per un periodo attinente alla guerra fredda, fu addirittura oggetto di scherno del pubblico. ( “La mia conclusione prevedeva un duello [...] Ma non fu accolta bene dal pubblico e allora la cambiammo” ).
Che un artista possa rimanere insoddisfatto del proprio prodotto è cosa accettabile e facilmente rintracciabile in precedenti storici (il nostro Dante non amava la sua Commedia!), ma per lungo tempo la critica ha compiuto un errore, forse imperdonabile, di sottostima nei confronti di uno dei più fulgidi ed emblematici “capolavori mancati” della storia del cinema. Contro la tendenza del cinema classico – salve poche eccezioni – Topaz di Hitchock ricordava al mondo che l’atrocità della guerra fredda – una guerra di logoramento di nervi – non era combattuta da eroi né da canaglie, ma da esseri umani pregni delle loro controversie e sfaccettati nell’integrità dei rapporti che vivevano. Topaz è un film sulla complessità morale della scelta dell’uomo europeo di fronte ad un sistema mondiale bipolare, dove l’ Europa non è protagonista dello scontro, al quale assiste con una parzialità che non è totale. Il pubblico non perdonò al maestro del brivido l’assenza di brivido in questo film; come thriller funziona a fasi alterne, perché di fatto thriller non è, ma un dramma di spionaggio con isolate punte di suspense. Al film non presero parte divi statunitensi (niente Jimmy Stewart, niente Cary Grant), bensì attori europei di gran classe, ma meno apprezzati negli Usa.
Morandini, stimatissima Bibbia della cinefilia italiana, liquida il film con una valutazione bassa e senza appelli ( 2/5 ), senza soffermarsi su un approfondimento critico che vada oltre le considerazioni sulla bassa popolarità di cui godette il prodotto. Più accorto (o più ignavo? ) è il suo storico collega e “rivale” Mereghetti, che, pur sottolineando la malasorte del film, si riserva però di non giudicarlo, scelta coerente con la linea tenuta dal Dizionario riguardo i lungometraggi che hanno subito manomissioni durante la produzione.
Per completezza bisogna riportare anche due tra le poche recensioni positive:
Nel presentare l’uscita del film in blu-ray, la rivista online Non solo cinema sintetizza alla perfezione i vertici del film che “possiede una sua innegabile dignità spettacolare, per un film che resta un’opera imperfetta ma tutt’altro che deludente: da riscoprire“.
Nei film di Hitchcock è innovativo l’apporto critico di Natalino Bruzzone e Valerio Caprara, che descrivono i protagonisti come “eroi stanchi di un gioco senza morale” in un film di “una nevrosi generale, seducente come un fiore e misterioso come un topazio”.
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A conti fatti, soltanto una scena accontentò tutti – celebre e di rara bellezza- : quella in cui una spia cubana al servizio dell’Occidente viene assassinata. Al film mancò quell’ironia britannica che fu uno dei tanti cavalli di battaglia della lunga e onorata carriera di Alfred Hitchcock. Paradossalmente Topaz, proprio per tale ragione, ricorda uno dei suoi più noti e amati film: l’intramontabile classico Notorious – l’ amante perduta, da molti ritenuto il suo massimo capolavoro.
Anche a fronte delle recente notizia che vedrebbe riallacciate le relazioni tra gli USA e Cuba per il superamento dell’embargo, Topaz andrebbe rispolverato e trattato come il figlio legittimo di un grande autore di cinema del Novecento, che seppe splendere anche nelle sue produzioni più travagliate. Topaz è un capolavoro mancato perché in anticipo sui suoi tempi: appartiene forse più alle insicurezze del nostro millennio.
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