— Nonno, ma oggi non arriva il treno?
—Viaggia con un po’ di ritardo, Lorenzo, bisogna aspettare…
— Uffa ma io mi annoio, è sempre in ritardo!
— Stai buono dai, e non andare di là dalla linea gialla, che se arriva la Frecciarossa ti porta via!
— Uffa, ma quando arriva?
— Dai Lorenzo, vieni qua che ti leggo il libro!
Prese il libro dalla tasca interna del giubbotto, aveva la copertina di cartone verdolino, gli angoli un po’ sciupati, le pagine ingiallite. Apparteneva a suo figlio ed erano anni che giaceva immobile nella libreria della sua vecchia camera. “Che strano”, gli venne da pensare, “a mio figlio non ho mai letto un libro”.
— Dai nonno, leggi!
— Va bene, va bene, che fretta hai? Tanto bisogna aspettare il treno…
“…E il povero Pinocchio cominciò a piangere e a berciare così forte, che lo sentivano da cinque chilometri lontano.
Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una cosa sola, cioè che il burattino sentiva morirsi dalla gran fame, tirò fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:
— Queste tre pere erano per la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia.
— Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.
— Sbucciarle? — replicò Geppetto meravigliato.
— Non avrei mai creduto, ragazzo, mio, che tu fossi così boccuccia e così schizzinoso di palato. Male! In questo mondo, fin da bambini, bisogna avvezzarsi abboccati e a saper mangiare di tutto, perché non si sa mai quel che ci può capitare. I casi son tanti!
— Voi direte bene, — soggiunse Pinocchio, — ma io non mangerò mai una frutta, che non sia sbucciata. Le bucce non le posso soffrire. ―
E quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino, e armatosi di santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.
Quando Pinocchio in due bocconi ebbe mangiata la prima pera, fece l’atto di buttar via il torsolo: ma Geppetto gli trattenne il braccio, dicendogli:
— Non lo buttar via: tutto in questo mondo può far comodo.
— Ma io il torsolo non lo mangio davvero!… — gridò il burattino, rivoltandosi come una vipera.
— Chi lo sa! I casi son tanti!… — ripetè Geppetto, senza riscaldarsi.
Fatto sta che i tre torsoli, invece di essere gettati fuori dalla finestra, vennero posati sull’angolo della tavola in compagnia delle bucce.
Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando:
— Ho dell’altra fame!
— Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti.
— Proprio nulla, nulla?
— Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera. — Pazienza! — disse Pinocchio — se non c’è altro, mangerò una buccia. —
E cominciò a masticare. Da principio storse un po’ la bocca; ma poi, una dietro l’altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce, anche i torsoli, e quand’ebbe finito di mangiare ogni cosa, si battè tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando:
— Ora sì che sto bene!
— Vedi dunque, — osservò Geppetto, — che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi né troppo sofistici né troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!… —“
— Nonno, nonno, arriva, guarda!
— Visto come va veloce stasera? Ci credo, è in ritardo…
— Che bello! Da grande voglio diventare il pilota della Frecciarossa…
— Va bene, Lorenzo, ora però andiamo a casa che sennò la tu’ nonna si preoccupa…
Note: il post è dedicato a tutti i Geppetti, il testo del settimo capitolo de “Le Avventure di Pinocchio” l’ho ripreso da qui.