19/05/2015 - Quale futuro per l'energia mondiale?

Creato il 19 maggio 2015 da Orizzontenergia

Boom asiatico
Rivoluzione americana
Fossili vs Rinnovabili
Competitività vs Clima e lotta ai Cambiamenti Climatici

A parlarcene Matteo Verda, curatore della recente pubblicazione dell’ISPI “EnergiaEnergia
Fisicamente parlando, l'energia è definita come la capacità di un corpo di compiere lavoro e le forme in cui essa può presentarsi sono molteplici a livello macroscopico o a livello atomico. L'unità di misura derivata del Sistema Internazionale è il joule (simbolo J)
e geopolitica | Gli attori e le tendenze del prossimo decennio
”.

Il crescente protagonismo delle economie asiatiche, accompagnato da un minore impegno sul piano ambientale rispetto all'occidente, che effetti sta avendo sugli scambi energetici globali?

Le economie asiatiche sono il principale motore della crescita della domanda di energia a livello globale.

Simbolicamente, la Cina ha superato quest’anno gli Stati Uniti come primo importatore mondiale di greggiogreggio
Petrolio estratto che non ha ancora subito un processo di raffinazione.
. Più in generale, in tutto il continente le attività produttive crescono e il livello di benessere aumenta: l’aumento del fabbisogno energetico è inevitabile, a un ritmo di diversi punti percentuali all’anno.

CarboneCarbone
Il carbone è una roccia sedimentaria composta prevalentemente da carbonio, idrogeno e ossigeno. La sua origine, risalente a circa 300 milioni di anni fa, deriva dal deposito e dalla stratificazione di vegetali preistorici originariamente accumulatisi nelle paludi. Questo materiale organico nel corso delle ere geologiche ha subito delle trasformazioni chimico-fisiche sotto alte temperature e pressioni. Attraverso il lungo processo di carbonizzazione questo fossile può evolvere dallo stato di torba a quello di antracite, assumendo differenti caratteristiche che ne determinano il campo d'impiego.
I carboni di formazione relativamente più recente (ovvero di basso rango) sono caratterizzati da un'elevata umidità e da un minore contenuto di carbonio, quindi sono 'energeticamente' più poveri, mentre quelli di rango più elevato hanno al contrario umidità minore e maggiore contenuto di carbonio.
, petroliopetrolio
Combustibile di colore da bruno chiaro a nero, costituito essenzialmente da una miscela di idrocarburi. Si è formato per azioni chimiche, fisiche e microbiologiche da resti di microorganismi (alghe, plancton, batteri) che vivevano in ambiente marino addirittura prima della comparsa dei dinosauri sulla terra. I principali composti costituenti del petrolio appartengono alle classi delle paraffine, dei nafteni e degli aromatici, che sono composti organici formati da carbonio e idrogeno e le cui molecole sono disposte secondo legami di varia natura.
, gas: sempre più risorse sono assorbite dalle economie asiatiche. Si tratta di una tendenza che nei prossimi anni non potrà che continuare, soprattutto viste le anemiche prospettive europee e l’aumento della produzione interna nordamericana. E che non riguarda peraltro solo le fossili: in Cina e nel resto dell’Asia si stanno effettuando i più grandi investimenti al mondo in capacità nuclearenucleare
Forma di energia derivante dai processi che coinvolgono i nuclei atomici (fissione e fusione).
e rinnovabile.

Se si escludono poche eccezioni, come il Giappone, le economie asiatiche sono però economie ancora relativamente povere: è inevitabile che l’aumento del benessere sia prioritario rispetto alle questioni ambientali. E fintanto che le fossili manterranno il loro grande vantaggio in termini di costo, l’aumento dei consumi avrà un grande impatto ambientaleimpatto ambientale
L'insieme degli effetti (diretti e indiretti, nel breve o nel lungo termine, positivi o negativi, ecc..) che l'avvio di una determinata attività ha sull'ambiente naturale circostante.
.

Solo dove la situazione è davvero insostenibile, come in alcuni agglomerati urbani cinesi, si agisce, ma contro gli inquinanti locali, non contro le emissioni climalteranti.

Quali prospettive vede per lo shale oil statunitense?

Il calo del prezzo del greggio ha messo alla prova tutta l’industria petrolifera.

I produttori di non convenzionale statunitense hanno dovuto fare i conti con un’alta drilling intensity, che impone continui investimenti per mantenere i volumi. Pena l’uscita dal mercato. La caduta dei prezzi ha spinto qualcuno fuori mercato e costretto tutti a rendere molto più efficienti i processi produttivi per ridurre i costi. Finora il grosso della produzione ha retto il colpo e sta accogliendo con sollievo il lento recupero di quotazioni del greggio prossime ai costi di produzione.

Certo, molto dipende dall’andamento del prezzo del greggio nei prossimi trimestri e dall’ininterrotto afflusso di finanziamenti, anche a fronte dello scetticismo espresso da molti, come David Einhorn. A prescindere da come ne usciranno gli operatori finanziariamente più esposti, il dato di fondo che resta in ogni caso è che le riserve non convenzionali statunitensi sono consistenti e relativamente rapide da portare sul mercato: quanto più saranno alte le quotazioni del greggio nei prossimi anni, tanto più lo shale oil statunitense avrà un ruolo da giocare nel mercato petrolifero mondiale.

La Conferenza mondiale sul clima di Parigi è alle porte: ci sono davvero i presupposti per una reale decarbonizzazione oppure l’economicità delle fossili continuerà a prevalere sulla lotta ai cambiamenti climatici?

Crescita economica (e sociale) o ambiente? E se la decrescita fosse la soluzione?

Per il momento credo che la crescita economica e sociale non possa che prevalere, data l’ampiezza del vantaggio di costo delle fonti fossili.

Per quanto noi europei possiamo impegnarci, a fare la differenza saranno le scelte dei governi delle economie in crescita, dalla Cina all’India, al Sudest asiatico, all’Africa. E questi governi hanno priorità di sviluppo e di lotta alla povertà (energetica e non) che vengono inevitabilmente anteposte alle questioni del cambiamento climatico.

La contrapposizione è tra la necessità di dare risposta, subito, alla domanda di benessere di miliardi di esseri umani e la volontà di evitare le conseguenze del cambiamento climatico tra molti decenni. Certo, già oggi alcuni fenomeni metereologici estremi possono essere associati al cambiamento del clima, ma la sproporzione rispetto ai problemi connessi alla povertà è davvero innegabile.

Occorre peraltro aggiungere che le conseguenze negative del cambiamento climatico per l’uomo dipendono in buona misura dal livello di benessere raggiunto. In altre parole, quanto più una società è ricca e sviluppata, tanto meno gravi saranno le conseguenze dei fenomeni metereologici estremi o della necessità di rilocalizzare ampie masse di persone. Un dato che certo non sfugge ai decisori politici dei Paesi in via di industrializzazione.

Quanto all’ipotesi della decrescita, credo sia al più una provocazione. È davvero difficile pensare che l’impoverimento delle società occidentali possa impedire al resto del mondo di aumentare il proprio benessere, anche oltre il nostro livello di consumo attuale. Rispetto lo slancio ideale di chi predica la decrescita, ma politicamente la ascriverei nel novero delle superstizioni.

Le rinnovabili hanno futuro anche senza sussidi? Sono davvero sostenibili?

Assolutamente sì. Oltre all’idroelettrico, finalmente anche le rinnovabili discontinue si stanno avvicinando sempre di più alla grid parity, almeno in alcuni mercati occidentali. Ci vorrà tempo, ma la loro quota nel paniere energetico è destinata a crescere nei prossimi decenni, anche senza sussidi. Un elemento chiave sarà sicuramente quello dell’accumulo elettrico, per il quale si vedono segnali interessanti. In ultima analisi, tutto dipende dal ritmo dell’innovazione tecnologica.

In un’ottica di lungo periodo, a ben vedere i sussidi hanno fatto più male che bene.

Certo, hanno arricchito molti, ma hanno distorto gli incentivi per gli operatori a cercare maggiore efficienza o prestazioni migliori. Se si sta su un mercato truccato, le pressioni sistemiche a dare il meglio sono inevitabilmente ridotte.

Investire in ricerca sarebbe stato sicuramente una scelta più saggia, anche per le ricadute in termini industriali. Ma ormai l’errore è stato fatto, l’importante è non ripeterlo in futuro. Se si vuole premiare le fonti a emissioni zero e ridurre l’uso delle fonti fossili, bisogna dare un prezzo alle esternalità negative generata da queste ultime, in termini di inquinamento locale e di effetto climalterante.

Gli attuali sforzi dell’Europa per contenere le emissioni climalteranti (i.e. l’Emission TradingTrading
Attività di acquisto e/o di vendita di prodotti (materie prime o commodities) sui mercati internazionali.
Scheme) potrebbero rimanere vani senza l’assunzione di protocolli condivisi globalmente.

Un’azione potenzialmente efficace ed alternativa all’ETS potrebbe essere quella di incorporare il costo delle esternalità ambientali nei prezzi finali dei prodotti. In che misura l’assunzione di meccanismi di tassazione coordinati a livello globale gioverebbe alla vacillante competitività europea?

Stiamo parlando della carbon taxcarbon tax
Come dice la parola stessa è una tassa sulle emissioni di CO2 causate dalla combustione di fossili, nata per far ricadere gli oneri ambientali e finanziari derivanti dall'immissione di gas serra in atmosfera ai soggetti responsabili.
, o dei suoi equivalenti. Sicuramente potrebbe giovare all’industria europea, all’estremo anche solo applicando all’interno dei confini UE un sistema di tassazione delle merci sulla base del loro impatto in termini di emissioni, indipendentemente dal fatto che siano prodotte in UE o importate. In questo caso sarebbe però una misura protezionista, molto più che ambientale, utile però a ridurre la perdita di competitività.

Il problema resta infatti quello che senza un’azione condivisa globalmente gli effetti sul clima sarebbero minimi.

E sono pessimista sulla possibilità che si possa arrivare a qualche azione concreta in tempi brevi. Per avere effetti significativi sulle emissioni, occorrerebbe un livello di tassazione rilevante, nell’ordine di diversi punti percentuali sul prezzo delle merci più impattanti: un livello plausibilmente inaccettabile (e inattuabile) per i Paesi in via di industrializzazione.

Viceversa, una tassazione anche molto contenuta potrebbe generare un gettito enorme se applicata a livello globale, ma non avrebbe un impatto determinante sulle emissioni. E questo senza considerare i problemi derivanti dalla gestione delle somme riscosse, o quelli relativi alla natura regressiva di una tassa globale di questo genere. A mio avviso, la carbon tax globale è un tema di dibattito per i prossimi decenni.


Matteo Verda
Curatore della recente pubblicazione dell’ISPI “Energia e geopolitica | Gli attori e le tendenze del prossimo decennio

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Data: 19/05/2015


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