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1985, l’ultimo sgarbo del (motor)sport a Mandela

Creato il 15 dicembre 2013 da Margheritapugliese

mandela
No, la Formula 1 e il Motociclismo non sono davvero il Rugby. “Invictus”, il film con il quale Clint Eastwood nel 2009 consegnò al mondo uno straordinario affresco del Sud Africa non appena uscito dall’apartheid, è anche una grande storia di sport. La pellicola è l’adattamento cinematografico del libro “Ama il tuo nemico” di John Carlin, a propria volta ispirato a vicende realmente accadute. La trama si sviluppa attorno agli eventi che ebbero luogo in occasione della Coppa del Mondo del 1995, tenutasi nel Paese africano poco tempo dopo l’insediamento diNelson Mandela come presidente della Nazione.

Interpretato dall’attore di colore Morgan Freeman, “Madiba” è fra i due grandi protagonisti del film, insieme al capitano (bianco) della Nazionale sudafricana dello sport della palla ovale,François Pienaar, impersonato da Matt Damon. Appena entrato in carica, Nelson Mandela si pose l’obiettivo di riappacificare la popolazione del Paese, ancora divisa dall’odio fra i neri e i bianchi di origini inglesi, scozzesi, tedesche, francesi e boere i cui avi nell’Ottocento avevano colonizzato l’ultimo lembo meridionale del continente. Simbolo di questa spaccatura, diventarono gli “Springboks”, emblema dell’orgoglio afrikaner e detestati dai neri, che proprio in seguito alla caduta dell’apartheid vennero riammessi nelle competizioni internazionali dopo un decennio di boicottaggio.

Ma se la disciplina del celeberrimo “terzo tempo”, così chiamata per il suo straordinario portato di mentalità sportiva, diventò il simbolo della fine della segregazione razziale fra bianchi e neri e del ritrovato spirito nazionale, pochi ricordano che altre specialità, normalmente connotate dallo stesso fairplay tipico del Rugby, agirono in maniera profondamente diversa, se non antitetica.

Il 1985, sei anni prima che il regime della “separazione” crollasse su stesso, registrò gli ultimi episodi di violazione dell’embargo internazionale che isolava il Sud Africa dal resto del mondo, anche, se non soprattutto, proprio dal punto di vista sportivo. Motociclismo e automobilismo non rinunciarono infatti ai Gran Premi in calendario in quella stagione, non senza l’inevitabile strascico di polemiche, proteste e “scioperi” che l’iniziativa porto con sé. “The Citizen”, quotidiano filogovernativo, sponsorizzò per molti anni i maggiori eventi automobilistici sul tracciato alla periferia di Johannesburg, connotando così politicamente le gare.

Il Motomondiale 1985 fu inaugurato il 23 marzo sul circuito di Kyalami e registrò nella Classe 500 il successo di Eddie Lawson e quello di Freddie Spencer nella Classe 250. La Honda tornava a vincere fra le quarto di litro dopo un lasso di tempo quasi immemorabile (Ralph Bryans si era aggiudicato il Gran Premio del Giappone del 1967), ma proprio la Federazione nipponica impedì ai propri piloti di partecipare all’evento per via dell’apartheid e l’impresa di Wako è oggi pressoché dimenticata…

Il Gran Premio di Formula 1 fu effettuato anch’esso sulla pista di Kyalami, ma il 19 ottobre, e fu l’ultima gara nella storia della massima categoria a corrersi di sabato anziché di domenica in omaggio alla cultura protestante del Paese. La corsa fu vinta da Nigel Mansell, alla guida di unaWilliams-Honda, davanti al compagno di squadra Keke Rosberg e ad Alain Prost, al volante della McLaren-Porsche con la quale di lì a un paio di settimane sarebbe stato incoronato campione del mondo per la prima volta ad Adelaide. Il “Professore”, a fine stagione duramente criticato in Francia per la sua partecipazione alla corsa sudafricana, troverà conforto in un’udienza personale durata tre quarti d’ora con Giovanni Paolo II, un’occasione nell’ambito della quale il Pontefice ritenne di ricordare pubblicamente ai fedeli come sport e politica dovessero mantenersi separati il più possibile.

In linea con la protesta dell’Eliseo contro l’apartheid, cui aderirono con meno efficacia “concreta” le autorità brasiliane, svedesi e finlandesi e a distanza di soli undici giorni dalla rielezione diJean-Marie Balestre alla presidenza della FISA, la Ligier e la Renault decisero di non prendere parte al Gran Premio e sino all’ultimo fu a rischio anche la presenza di Alfa Romeo e di Osella(quest’ultima impegnata con monoposto spinte dai motori della Casa di Arese) proprio perché allora controllata dall’IRI e dunque riconducibile al Ministero delle Partecipazioni Statali. AncheZakspeed e RAM non effettuarono la trasferta, ma nel caso di quest’ultima più che altro a causa di difficoltà economiche.

Dopo aver saltato due GP per un infortunio ad un polso, Niki Lauda tornò invece alla guida della propria McLaren-Porsche, mentre la Tyrrell ingaggiò una tantum Philippe Streiff, lasciato libero dalla Ligier. Alan Jones, seppur presente in Sud Africa, non prese parte alla gara, ufficialmente perché “indisposto”, anche se c’è chi adombrò pressioni del Governo australiano nei riguardi dell’ex campione del mondo perché non scendesse in pista.

Dunque, dinanzi agli 85.000 spettatori di Kyalami gareggiarono appena 21 dei ventisei piloti iscritti al Campionato del Mondo di quella stagione, peraltro con monoposto dalla livrea profondamente rimaneggiata. Ferrari e McLaren rimossero i logotipi delle sigarette Marlboro e così fece la Arrows con gli sticker altrettanto tabacchiferi della Barclays e la Beatrice con i simboli dei propri soci-sponsor-finanziatori. Nella vicenda entrò anche Enzo Ferrari, la cui scuderia era in lizza per il titolo iridato con Michele Alboreto: “Al momento il Campionato del Mondo sembra essere un affare tra noi e la McLaren. Quest’ultima sta conducendo la classifica. Se la McLaren decidesse di non andare a Kyalami, non andremmo neanche noi. Non vorremmo in alcun modo approfittare della loro non partecipazione…”.

In Italia gli appassionati dovettero rinunciarono al Gran Premio sulle reti RAI per la scelta dell’emittente di Stato di non trasmettere la gara di Kyalami, che andò invece in onda regolarmente su Telemontecarlo con la telecronaca in tono dimesso di Renato Ronco e il commento tecnico di Beppe Gabbiani. Nel febbraio del 1985 Nelson Mandela, nonostante fosse rinchiuso già da ventitré anni nel supercarcere di Robben Island e fosse individuato soltanto come il “detenuto numero 46664”, rifiutò un’offerta di libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta armata e scelse così di trascorrere un altro lustro dietro le sbarre. La Formula 1 e il Motomondiale non avrebbero più rivisto il Sud Africa sino al 1992, una volta consegnato definitivamente alla storia del Novecento l’ultimo rumore di fondo di una segregazione fondata sul colore della pelle…

Fonte: Omnicorse.it
Link: http://www.omnicorse.it/magazine/33105/1985-l-ultimo-sgarbo-del-(motor)sport-a-nelson-mandela

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