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“Ci sono persone che non credono niente fin dalla nascita. Ciò non toglie che tali persone agiscano, facciano qualcosa della loro vita, si occupino di qualcosa, producano qualcosa. Altre persone invece hanno il vizio di credere: i doveri si concretizzano davanti al loro occhi in ideali da realizzare. Se un bel giorno costoro non credono più- magari piano piano, attraverso una serie successiva, logica o magari anche illogica, di disillusioni - ecco che riscoprono quel “nulla” che per altri è stato sempre, invece, così naturale.” (Pier Paolo Pasolini, Petrolio, appunto 84)
Se è vero, come ammonisce Umberto Eco, che mentire riguardo al futuro produce la storia, si può tranquillamente affermare che “1992” - produzione Sky recentemente andata in onda - ha colto nel segno.
Come suggerisce il titolo, difatti, tutto si svolge nel periodo in cui Mani Pulite, la vicenda giudiziaria altresì nota come Tangentopoli, era destinata a scoperchiare il vaso di Pandora dal quale è uscito fuori ogni sorta d’olezzo stantio appartenente alla Prima Repubblica. La menzogna cui facevamo cenno in apertura - ipotesi interpretativa ben individuata, isolata e prontamente scartata nella serie televisiva diretta da Giuseppe Gagliardi - sta nel porre le inchieste giudiziarie condotte da Di Pietro nell’ultima decade del ‘900 come sostanziale punto si svolta. Se infatti la Seconda Repubblica s’è fatta con gli scarti della prima, Mani Pulite è finita nel vicolo cieco della novità mediatica , da un lato portando la consapevolezza delle masse a sintetizzarsi nella povertà dialettica del sono-tutti-ladri, dall’altro non incidendo sullo pseudo-rinnovamento della classe politica protagonista d’una non meno triste storia odierna.
“1992” s’inserisce, quindi, col giusto distacco all’interno dei meccanismi prima descritti attraverso molteplici elementi: alcuni, anche se non privi d’imperfezioni, identificabili nella matrice estetica, dove i reparti di regia e fotografia, non sempre incisivi, accompagnano una messa in scena invece abilissima nel dare tonalità retrò ai non troppo distanti anni ’90, specie grazie al contributo scenografico ed alle scelte legate alla colonna sonora; altri, invece, identificabili nelle prime fasi della scrittura che, se da un lato anch’essa non è esente da sbavature, soprattutto in alcuni sviluppi dei singoli caratteri, ha invece il pregio di utilizzare personaggi chiave per completare un affresco lucido e dettagliato di ciò che si sta raccontando - il Di Pietro illuso ed affamato di cambiamento; la ragazza che vende il proprio corpo per far carriera in televisione; il pubblicitario che più di tutti riassume e rispecchia i connotati marci, amorali e contraddittori che caratterizzano lo Stato -. Tutto questo funziona, al di là delle innegabili imperfezioni, dal momento in cui non sono i personaggi a muovere il contesto ma è il contesto a muovere i personaggi, rendendo “1992” un prodotto televisivo ancor più innovativo di “Gomorra”, che resta superiore solo dal punto di vista tecnico/visivo, e il cui successo estero, sia critico che commerciale, conferma che in Italia una televisione altra è possibile.
Mentre Mamma Rai, con la produzione dei vari “Don Matteo”, “Braccialetti rossi” etc.., si preoccupa d’inasprire l’odore delle case dei vecchi, il personaggio di Stefano Accorsi, sulla chiusura dell’ultima puntata, fa ben sperare in una seconda stagione asserendo: “Sarà un bellissimo 1993”; l’ultima parola ce l’ha la macchina da presa che chiude con l’oscuro, incombente presagio nascosto nel cartellone pubblicitario raffigurante un neonato che esclama: “Fozza Itaja!”. Antonio Romagnoli
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