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#2 Flash da Venezia 69: To the Wonder e At any price

Creato il 04 settembre 2012 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

#2 Flash da Venezia 69: To the Wonder e At any price

To the Wonder

L’attesa per To the Wonder dello sfuggente (e assente al Lido) Terrence Malick era alta. Tanto alta quanto miseramente delusa. Infatti siamo di fronte ad un The Tree of Life che zooma sull’amore. Ma il frutto raccolto è sterile, infecondo. Peccato, perché all’inizio il film piace e coinvolge, pur ri-proponendo gli stessi stilemi del film vincitore due anni fa a Cannes. Poi si perde per strada e in frasi fatte che rasentano il ridicolo e il comico (qua e là in sala è percepibile qualche risatina soffocata o commento sarcastico), oltre che il non sense e l’incomprensibilità (vedi “Io sono l’esperimento  di me stessa”, “L’amore che ci ama”, “Una valanga di tenerezza”). Il materiale si esaurisce troppo presto, tanto che, tra le altre cose, risulta parzialmente inutile il personaggio del prete con dubbi di fede (interpretato da Bardem). Su 2 ore di film, almeno un’ora è aria fritta. In confronto, The Tree of Life quantomeno aveva una pretesa d’esistere prepotente e lussuriosa. Qui non c’è niente di niente. L’immagine veicolo di emozione, più che di racconto, si fa impotente. Tanto che stancano quelle “valanghe” di poesia che dovrebbero essere supportate dalla solita (bella) fotografia controsole tra gli alberi, i telai delle finestre, le mani che giocano a schivare i raggi lucenti.

Tra le tante cose discutibili, spiccano il finale da spot dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica, inserimenti da clip pubblicitario alla Chanel numero 8, la saltellante protagonista che si crede la vispa Teresa che va sull’erbetta…

Una lettera d’amore e all’amore finita nel cestino.

#2 Flash da Venezia 69: To the Wonder e At any price

At any price

L’American Dream più stantìo e ridicolo a portata di trebbiatrice da frumento. At any price delude come pochi in nome della banalità e della vacuità più profonda. Sin dai primi minuti è urticante, tronfio di patriottismo made in Usa propagato da un paio (come minimo!) di frasi sentenza (che nemmeno Seneca!) pronunciate da un istrionico Dennis Quaid (comunque sia il migliore a livello attoriale di questa Caporetto cinematografica). Un americanismo che tocca presto l’apice con l’intera declamazione cantata collettiva dell’inno americano. Zac Efron, idolatrato dalle bambine al red carpet, è monofaccia, e affida, con nessun esito, l’appeal del suo personaggio ad una canottiera bianca da bello impossibile che fa ridere i polli.

Insomma, At any price è un film da mietere con decisione dal concorso. Ad ogni costo.


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