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2 giugno. Destati Italia

Creato il 02 giugno 2013 da Albertocapece

NUOVA%20antonio%20canova%20monumento%20vittorio%20alfieriitapiaAnna Lombroso per il Simplicissimus

Sfila a pochi metri da casa mia, l’ho lasciata irrompere nel mio salotto tramite Tv la parata militare del 2 giugno. Ciononostante l’impressione è quella di un rito lontano, estraneo, dimentico dell’occasione, la festa della Repubblica nata dalla Resistenza, che vuole invece esaltare la muscolarità militare di una potenza, ormai retrocessa a stare dietro le quinte del contesto occidentale. E che schiera in prima fila le icone istituzionali, i mandarini accanto al presidente, oggetto di quella metamorfosi sacra che oltrepassa la vecchiaia per mutare in statua d’avorio, la Boldrini, come una imperatrice della dinastia Ming, e gli altri, remoti, lontani e respingenti, i soldati che passano, alcuni con la mano sul cuore e i sorrisi irradianti come reclute di West Point, come i berretti verdi di John Wayne, perché ai generali della nazione mite piace andare al cinema e poi imitare i polpettoni bellici di Hollywood.

La guerra da noi e nella nostra contemporaneità è un argomento intrattabile, sensibile, tanto che ci si va sfidando il dettato costituzionale e superando le ritrosie del dopoguerra,   ci si va eccome, in Iraq, Somalia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Afghanistan, Libano, Libia,  i si va magari facendo solo gli sbriga faccende, dando “appoggio logistico”, ed anche, lo apprendiamo dolcemente, dopo che è accaduto, sparando e mitragliando. Però  “mimetizzati” da quel morbido repertorio di eufemismi: missioni di pace, export di democrazia, sostegno e contributo al rafforzamento istituzionale, fino a quel magnifico equilibrismo, il più ardito: guerra umanitaria.

È per questo che una liturgia che qualche anno fa sembrava francamente un po’ ridicola, estemporanea e arcaica, oggi suona invece oltraggiosa. Per i costi elevati: il risparmio è stato limitato al taglio delle Frecce tricolori e non all’acquisto degli F35, ritenuti indispensabili e inviolabili; e per l’ostinata riaffermazione del messaggio militarista, impiegato a improbabile memoria di una vittoria della pace e dell’armonia, sudatissima e ancora molto discussa.

Il percorso verso il partito unico, coagulante in nome della conservazione, è fatto anche di questo, della definitiva condanna del pacifismo come screditato residuo dell’epoca delle ideologie e delle appartenenze, che si combina con l’entusiastica integrazione tra i valori di regime del pensiero forte della destra, autoritarismo, nazionalismo, potenza e prepotenza, insieme alla colpevolizzazione della resistenza, all’erosione dei principi costituzionali e alla privatizzazione della Carta, grazie anche a un presidenzialismo strisciante e a uno svuotamento del parlamentarismo.

Si, una volta sembrava un po’ patetico, un po’ ridicolo che un  popolo considerato inaffidabile, sleale, codardo e antropologicamente pigro, a detta perfino dei suoi inopportuni governanti, scegliesse per festeggiare la repubblica – nata dalla sua fase epica, dal suo affrancamento eroico, la Resistenza – una parata militare, coi soldati impennacchiati, le divise da operetta, i medaglieri conquistati chissà dove, a dimostrazione che ci piacciono i travestimenti, forse anche quelli usati nelle cene eleganti?, la teatralità, le marcette, gli squilli di tromba che tanto l’Italia non si desta facilmente.

Oggi suona stonata, forse perché c’è poco da celebrare una Repubblica impoverita dei suoi principi democratici, avvilita dalla corruzione  e ferita dall’illegalità. E c’è poco da festeggiare la memoria di una pace conquistata dai nostri padri e dai nostri nonni, una pace che doveva essere fatta non solo del silenzio dei cannoni e degli stivali sul selciato, ma di uguaglianza, solidarietà, istruzione, lavoro, armonia, libertà. Mentre invece è stata dichiarata una guerra. Destati Italia.

 


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