2 giugno, la festa alla Repubblica – 1
Creato il 02 giugno 2012 da Albertocapece
Anna Lombroso per il Simplissimus2 giugno, festa della repubblica fondata sul lavoro, un’altra giornata della memoria: il lavoro possiamo commemorarlo, grazie alla tempestività dei dati: Il tasso di disoccupazione in Italia nel primo trimestre 2012 vola al 10,9%, in crescita di 2,3 punti percentuali su base annua. Ad aprile la situazione è rimasta sugli stessi livelli. Il tasso di disoccupazione è al 10,2%, in rialzo di 0,1 punti percentuali su marzo e di 2,2 punti su base annua. È il tasso più alto dal gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili): ad aprile, gli occupati sono 22.953 mila, in diminuzione dello 0,1% (-28 mila unità) rispetto a marzo. Il calo è determinato dalla contrazione dell’occupazione maschile. Nel confronto con lo stesso mese dell’anno precedente l’occupazione segna un aumento dello 0,1% (23 mila unità). Il numero dei disoccupati, pari a 2.615 mila, cresce dell’1,5% (38 mila unità) rispetto a marzo. Su base annua il numero di disoccupati aumenta del 31,1% (621 mila unità). Nel primo trimestre del 2012, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale al 35,9%, il tasso più alto dal primo trimestre del 1993 (inizio della serie storica), toccando un picco del 51,8% per le giovani donne del Mezzogiorno.Meno lavoro più povertà: nove su dieci conoscono una nuova indigenza, su di loro grava il peso della crisi. Uno su dieci è più ricco, al riparo dalla paura, affondato in soffici privilegi sempre più ingiusti e arbitrari. Li protegge un sistema economico che si nutre di disuguaglianze, una ideologia dell’iniquità, una classe “politica” che va da qualcuno che proporrà la libera circolazione delle banconote del Monopoli a chi si è arreso alla soporifera ineluttabilità del mercato. Alle radici della debolezza strutturale dell’Italia, che l’ha resa così vulnerabile ed esposta risiedono certamente nell’incompiutezza dell’Europa, nell’inadeguatezza della politica a fronteggiare l’evidente declino del nostro apparato produttivo, nell’indifferenza nei confronti della deriva dei conti pubblici, nell’acquiescenza all’egemonica potenza della criminalità economica, corruzione ed evasione, nel disinteresse, se non peggio, per l’estendersi delle disuguaglianze sociali, nell’capacità e impotenza della sinistra a immaginare le alternative possibili al pensiero capitalistico dominante e ora a “questa” austerità.Troppo disincanto, troppa indifferenza, troppa esclusione della società civile e troppa inclusione del profitto nei processi decisionali hanno annichilito perfino le più elementari istanze di “temperare” le implacabili leggi del profitto, di riportare il capitalismo verso forme più equilibrate, quelle che il liberismo sregolato e dissipato ha cancellato fino all’autolesionismo. L’esperimento di un mercato lasciato a se stesso, capace di far crescere l’economia, identificare le produzioni giuste e creare occupazione, compiere scelte di crescita non del tutto lesive dell’ambiente e insomma di darsi dei limiti, è risultato fallimentare come dimostra la lunga recessione che ci coinvolge e di cui non si intravede la conclusione.Eppure non occorrerebbe molto più del buonsenso per dare un senso allo stravolgimento delle geografie umane trovando nuove diverse strade, scrollare l’edificio di regole squilibrate della religione del primato del profitto e del privato per promuovere un intervento pubblico impegnato a indirizzare la produzione delle imprese private, regolare e organizzare i mercati, creare lavoro e redistribuire in modo egualitario i redditi. Non è certo un’elaborazione insurrezionalista o sovversiva, anzi rischia di essere sembrare ovvia, scontata e condivisa una ridefinizione della politica economica in grado di disegnare una “visione” radicalmente contrapposta a quella che da lungo tempo la vulgata politica e mediatica dell’economia ci propaganda come l’unica ammissibile
e possibile.È che quando il ceto politico sibila di minacce destabilizzanti pensa certamente al rischio che un pensiero comune, civile e democratico, sposti l’attenzione e l’azione sulle condizioni di vita dei lavoratori, non solo di chi un lavoro ce l’ha (e lo vuole mantenere), ma anche di chi questo lavoro non ce l’ha, non lo può avere, lo ha perso senza ritrovarlo o senza poterlo ritrovare. Capace di dirigere la sua potenza sui beni comuni che tali devono restare. Forte per imporre il primato dell’istruzione, della cultura, della tutela del patrimonio italiano, fatto di bellezza, arte, paesaggio, una ricchezza che deve essere di tutti, inalienabile e pubblica. Di fronte a queste priorità, l’economia è un vincolo con cui è necessario fare i conti, ma non deve essere l’obiettivo al quale subordinare la vita sociale, tanto da condizionare aspettative, vocazioni, talenti, speranze.
Hanno paura di noi quei poteri che interpretano e rappresentano le politiche liberiste confidando nei benefici attesi della globalizzazione, benefici circoscritti e offerti solo alle loro enclave. Alle quali aspira a essere ammesso quel che resta di una sinistra incapace di intravedere alternative alle politiche di austerità che continuano a colpire la parte più debole della società; che ha scelto di delegare alle forze economiche le decisioni forzando la carta costituzionale e ferendo mortalmente la democrazia, consegnandoci implacabilmente alla grande incertezza.L’immonda risata di quella turpe coppia fiera della sua controriforma, così come la stolida e perversa ostinazione a mettere in scena il defilé di una nazione senza sovranità, cui viene imposto di venire meno ai principi costituzionali partecipando a missioni offensive sia pur eufemisticamente definite di pace, costretta a comprare aerei obsoleti che non fa nemmeno passare in cielo per dimostrare la sua muscolarità, l’acrobatica managerialità creativa di un uomo di impresa che non sa andare oltre ai buoni sconto del supermercato, sono l’allegoria di una classe dirigente separata, ottusa, chiusa in un’infame lontananza dalla vita, dal paese, dalla realtà, asserragliata in un solipsistico recinto di isolamento difensivo e ostile. Non è la loro festa quella di oggi. Ma non può essere nemmeno la nostra se non ci riprendiamo la bellezza di quei pensieri di tanti anni fa, la forza di quel riscatto di tanti anni fa, le ragioni di chi ha ragione e la giustizia dei giusti.
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