Sono passati due anni dal venti maggio 2012, ma quel boato nel cuore della notte che ti sveglia, ed è un secondo capire se sia un sogno oppure no, è ancora lì nella testa, nei ricordi. Nella consapevolezza che tutto a una manciata di chilometri da casa tua è venuto giù. Case, vite, sogni, speranze, promesse che un sussulto della terra ha interrotto con la stessa semplicità con cui un interruttore spegne la luce. Ma allo stesso modo, nei 730 giorni che sono seguiti abbiamo capito che, anche se faticosamente, quell’interruttore almeno in parte potevamo provare a spingerlo anche noi, tenendo botta, riaccendendo la luce. Rialzandoci. Perché in fondo questa è la prima e più importante lezione che apprendi fin da piccolo: quando cadi ti fai male, piangi, ma poi impari che devi rialzarti. Devi ripartire, anche se le ginocchia sono sbucciate e ti fanno male e lo faranno per molto ancora, come per molto rimarranno i segni su di esse. Ma stringi i denti e vai. Non puoi fare altro, non puoi concederti altro. In Emilia i denti li stringiamo dal 2012, e i segni sulle ginocchia sono ancora lì. Ma anche noi ci siamo, tenendo botta. In piedi!
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