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2001: Odissea nello spazio

Da Pim

2001 Odissea nello spazio 2001: Odissea nello spazio non è soltanto un film, è un saggio. Un saggio sulla condizione umana. Tutti i lavori di Kubrick (tratti da libri, nessun soggetto originale) sono un'interpretazione filosofica di opere letterarie, volta a porsi la più semplice e insieme la più complessa delle domande: che ci facciamo qui? E perché? Dove è diretto l'uomo? 2001 è, in questo senso, sicuramente il film più pregnante e dunque, senza divagare sugli altri (sarebbe necessaria una comparazione sistematica, il mio è soltanto un post), prima di che cosa avrà voluto dire Kubrick, occorre chiedersi da quale prospettiva parte per realizzare 2001?

Il film (soprattutto il finale) risulta privo di senso se si ha una concezione vettoriale del tempo. Se per un momento dimentichiamo questo intendimento tipicamente “occidentale” e invece recuperiamo quello ellenico secondo cui il tempo è circolare, il senso si apre e si disvela. Come nel quadro Salita e discesa di Escher, nel quale file di persone camminano su o giù lungo una scala chiusa in un ciclo infinito, possibile solo grazie ad un gioco di percezioni. Il tempo è dunque circolare. Tutto è. Passato e futuro si fondono in un hic et nunc, a dire che passato e futuro non esistono.

In 2001 questo appare molto chiaro nella sequenza finale. Se immaginiamo le azioni di Dave Bowman come consequenziali in una successione temporale canonica (A precede B che precede C e così via) non si capisce nulla. Non c'è Dave Bowman che prima arriva nella stanza del '700, dopo mangia, poi entra nel bagno e quindi è disteso sul letto; ma c'è Dave Bowman che arriva nella stanza e nello stesso tempo guarda se stesso che mangia, va in bagno, è sul letto. Tutto avviene contemporaneamente, perché – appunto – tutto è. Non per niente il film termina con lo Star Child, ovvero con l'uomo che ritorna alla sua alba e dunque all’inizio della storia (e della Storia).

Se lo analizziamo attentamente, tutto il film è pervaso dal concetto di circolarità. La musica portante è il valzer Sul bel Danubio Blu, ovvero un ritmo che si balla girando in tondo; l'astronave Sheraton verso cui è diretto l'Orion ha una struttura circolare e ruota su se stessa; d’altra parte, tutto ha inizio e poi si svolge nella sfericità dei pianeti e delle loro orbiti ellissoidali.

E allora: cosa vuole dire Kubrick con 2001? Che la condizione umana è solo un accidente nell'infinito cosmico. Che l'uomo, sebbene cerchi di spiegare tutto con la ragione, è in realtà appena un punto infinitesimale rispetto alla vastità dell'universo; e in quanto punto, sebbene le dottrine antropocentriche del positivismo e del cattolicesimo inducano a credere il contrario, ha un’importanza assolutamente marginale nell'economia del tutto.

Ecco perché Kubrick non spiega (anzi, pare voglia annichilire l’illusione umana di voler comprendere ogni cosa e a qualunque costo). Ecco perché sostenne che 2001 era esclusivamente un'esperienza visiva. Anche in questo si conferma un filosofo ellenico precipitato. chissà come. nel XX secolo.

L'uomo non è padrone di se stesso, bensì alla mercé del Fato che tutto decide, e non c'è nulla di  ncessariamente prestabilito. Come il braccio del Dottor Stranamore che vive di vita propria e scatta in improbabili saluti nazisti; come i politici che ritengono di controllare qualunque cosa vedono il pianeta Terra deflagrare per l'improvvisa follia del generale Ripper. E non per niente la parabola kubrickiana si chiude con Eyes Wide Shut, ovvero un film sulla famiglia come istituzione fondante della società cui è affidato il compito supremo: scopare. Cioè riprodursi, dare vita, far proseguire la specie. Per Kubrick, questo è l'uomo. Né più, né meno.

(Grazie ad Antonio per gli scambi di vedute da cui ho tratto questo post. E a Giuliana per avermi rispiegato i vettori.)

2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick, con Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter (Usa, 1968, 141’). Venerdì 19 Novembre, Iris, ore 21,05.


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