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2011: odissea alla stazione

Da Crudina
Ore 09.00: ogni santa mattina è sempre il solito commento. Che faccia, Cri, è successo qualcosa?
Facciamo rewind, e facciamo un salto indietro, alle ore 06.50. La sveglia non è ancora suonata, ma il corpo umano, quando si abitua, è peggio o forse meglio, chi lo sa, di un orologio svizzero. Inizia con una sensazione strisciante che dalle viscere sale su, fino ad arrivare ai bulbi oculari, che in un secondo si sbarrano nel semi buio della stanza. È arrivato il momento. La sveglia suona e la predetta sensazione strisciante diventa sempre più invadente, fino ad impossessarsi di ogni nervo, muscolo, cavità. Come un automa ci si alza, ci si prepara e si fa colazione, sapendo che ormai manca poco.
Si esce di casa e, pian piano, pur distratti dalla musica di Virgin Radio che suona benaugurate nell’autoradio, vedi che si avvicina nefasta; la si vede in lontananza, i cartelli che cercano quasi di prepararti mentalmente. Giri la via e sei lì, già a dover litigare per fermarsi un momento solo il più vicino possibile all’entrata sua, lei, la Stazione ferroviaria! Entri, e il mare di gente ingrugnita e accigliata ferma davanti ai cartelli luminosi già fa presagire male; si è contratti in una smorfia di dolore mista ad apprensione, mentre, chi a modo suo o nemmeno troppo velatamente, inizia a fare scongiuri, a tirare fuori cornetti rossi o a ravanarsi il basso ventre. Se si è fortunati non vi sono ritardi, o al massimo quegli irrisori 5 minuti. In quel caso, le contratture spariscono, le mani si alzano finalmente al cielo, i cornetti vengono riposti nelle borse e si va, verso quell’odissea che sai quando inizia ma non sai mai quando e come finirà. Se, in caso contrario, i minuti di ritardo iniziano ad accumularsi, il brusio diventa un vociare isterico, le donne iniziano a tirarsi i capelli tra di loro, mentre gli uomini tirano fuori bestemmie o scaricano su qualche disgraziato che li urta senza nemmeno farlo apposta la loro stizza. Una cosa bella, però, c’è: in questi momenti di attesa, le care ferrovie hanno pensato bene di alleggerire questo peso con dei bellissimi schermi ultrapiatti che, all’inizio, si pensava mandassero in onda musica, informazione o chissà che altro. Invece in un loop infinito, accrescono, se possibile, ancora di più l’irascibilità dei poveri pendolari con le stesse tre pubblicità: 5 problemi, 1 soluzione, 7 è decisamente meglio di 2… roba che se mandavano il lotto alle 8, a questo punto, forse facevano prima.
Una volta superato il primo ostacolo, poi, quando si pensava di essere finalmente salvi, vi è il secondo round. Chi a Pavia o chi a Milano, deve poi fare i conti con i mezzi pubblici. Come un gregge di pecore ormai più che smarrite, si attraversa la strada e parte il secondo turno di scongiuri vari, o addirittura, viste le liti che spesso si hanno a bordo, c’è chi tira fuori i guantoni della lezione serale di kick boxing, chi la sciabola della lezione di thai chi, chi il gas nervino o chi, semplicemente, tiene a portata di mano il numero dei Carabinieri, che male mai non fa. Alla fermata del bus non vi è nessuno schermo ultra piatto a tenere compagnia, ma un vociare e un lamentarsi unico e continuo. Sono mesi e mesi che i bus saltano le corse, e ancora vi stupite?? Mentre la sottoscritta cerca di apprendere e fare sue le tecniche di training autogeno, c’è qualche mendicante che passa a chiedere se abbiamo un euro, lo studente che non riesce proprio a mandare giu il catarro, o il vecchio distratto che, oltre a pestarti un piede, ti schiaccia anche l’altro col carrellino della spesa che si trascina dietro. Ma io dico, che bisogno c’è di fare la spesa alle 07.50 del mattino?
Sono domande esistenziali anche queste, ma forse in lontananza lo si vede arrivare e finalemente si sale su. Conosco ormai persone che chiedono al proprio assicuratore di farsi fare delle polizze speciali per quando si viaggia in autobus, sul tre di Pavia in particolare. I borseggiatori, infatti, sono all’ordine del giorno, ma vogliamo parlare anche della incolumità fisica che, ogni giorno, è duramente messa alla prova? Specialmente quando piove, gli ombrelli diventano armi a doppio taglio di estremo pericolo; gli spintoni che si ricevono nel costato da chi ti passa davanti per prendere il posto a sedere migliore ( ma che siamo, all’Opera di Parigi, che devi prendere il sedile più comodoe con la visuale migliore?) e d’inverno gente che ti fa sfoggio della sua fantastica bronchite spargendo a destra e a manca i loro microbi impestanti tossendo senza mai mettere la mano davanti…
E visto le predette corse mancate, inutile dire che la bolgia che ti schiaccia e ti fa mancare il respiro raggiunge talvolta livelli insopportabili. Al 5 di gennaio, pressato come una sarda in scatola, sudi come un maiale, salvo poi scendere e subire il contraccolpo termico che ti fa passare dai 45 gradi e con il 100% di umidità, ai meno venti e con un vento gelido che ti schiaffeggia le guance.
La lista dei contrattempi potrebbe poi essere ancora più lunga, e dopo aver sopportato tutto questo, e molto di più, per fare solo 25 km, ormai i colleghi, almeno quello, non mi chiedono più cosa c’è che non va; la sfilza di bestemmie che potrebbe uscire dalla bocca, potrebbe essere troppo lunga da sentire…

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