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Del resto a dicembre si corre per le solite scadenze lavorative e durante le feste ci si sfonda di cibo e alcool, dunque non c’è la lucidità necessaria a decidere alcunchè. Guarda caso Pitchfork ha piazzato Kanye West al secondo posto in classifica, come si potrebbe definire ragionata una scelta del genere?
Veniamo al dunque: Il 2013 nei dieci album che per noi meglio lo rappresentano, accompagnati da una playlist.
P.s. Grazie a Laura e Gherson per il contributo.
Arcade Fire: Reflektor
Il cambio di sound con l’aiuto di Mr. James Murphy, per quanto mi riguarda è un esperimento riuscito. Reflektor è un compendio delle migliori sonorità electro-rock degli ultimi 30 anni, rigenerate dall’immenso talento della band canadese. Rimettersi in gioco e tentare nuove strade fa parte dell’intelligenza artistica degli AF e, anche se non tutto funziona e convince, quest’album è una prova schiacciante delle loro doti.
Se la prossima volta si mettessero in testa di fare un disco mariachi, verrebbe fuori comunque una figata.
David Bowie: The Next Day
Dopo alcune cadute di stile e una decina d’anni di silenzio, Bowie sembrava ormai tramontato. Ma The Next Day è come una lampeggiante scritta: “COL CAZZO!”, perchè il Duca Bianco è tornato in grande spolvero e finalmente trovando quella vena e quelle sonorità che gli mancavano per riprendersi il suo posto lassù, nell’olimpo degli Dei dorati del rock. Mancando ormai un supporto fisico, non posso dire di aver consumato il disco o il cd, ma su Spotify l’ho mandato in play così tante volte che il buon David è diventato afono.
65 Days of Static: Wild Light Loro sono per me “il gruppo”, quello in cui fantastico di suonare nei miei sogni da air guitar. Credo onestamente che siano un gradino sopra, tecnicamente, creativamente, a livello di potenza, etc. alla maggior parte delle cose che ci sono in giro. Ho amato alla follia ogni loro precedente lavoro e questo conferma quello che penso. E’ un album diverso dai precedenti, più vicino ad un concept album e dal suono più “cinematografico”, ma conserva quella potenza e quella capacità di trascinare chi lo ascolta in un viaggio profondissimo. Insomma, super consigliato, e – che ve lo dico a fare – se capitate a tiro di un loro live non fate l’errore di perdervelo.
London Grammar: If you wait
Probabilmente la miglior novità dell’anno appena concluso, per almeno due buoni motivi: rivitalizza un genere a cui siamo molto legati come il trip-hop e alla voce c’è Hannah Reid, che come ho già scritto su Twitter “farebbe sciogliere anche il permafrost durante una glaciazione”. Pelle d’oca ogni volta che li ascolti, una killer-track come “Strong” e sono ancora così giovani da far sembrare i Massive Attack degli attempati signori. Serve altro?
Pearl Jam: Lightning Bolt
Partendo dal presupposto che gli album dei PJ da consegnare alla storia sono altri, Lightning Bolt resta tra i miei ascolti preferiti del 2013. Perchè ci si trova davvero tutto: ballads in cui la voce di Eddie Vedder dà il suo meglio, pezzi rabbiosi e tirati che ricordano gli esordi, gemme pop come “Syrens” e piacevoli novità stilistiche mai sentite nel loro repertorio. E’ uno splendido rock nella sua forma più ampia e popolare. Fin troppo popolare: i biglietti per la loro data di Milano sono evaporati in un nanosecondo :(
Midlake – Antiphon
Il folk-rock organico e corale continua a toccare le nostre corde e, nonostante il cambio di formazione, i Midlake lo sanno fare eccome. Niente di nuovo ok, eppure non c’è modo di sfuggire alle suggestioni che questo disco riesce a suscitare: lo ascolto e subito mi trovo immerso nella notte del deserto texano, accampato intorno a un fuoco con l’orizzonte che si perde in una distesa infinita di stelle. Mind-blowing alla n e per questo, al di là di ogni ragionevole motivazione, Antiphon da questi dieci non lo toglie nessuno.
Savages: Silence Yourself
Forse non vincono il premio “rivoluzione musicale”, insomma fanno il buon vecchio rock-punk con tutti i crismi, ma lo fanno un gran bene. Viste live e per un attimo ho avuto la sensazione di essere in un vecchio club londinese dei fine ’70. Ed è stato un gran bel momento.
Giuda: Let’s do it again
Finalmente un disco italiano in stile anglosassone che non ci fa sfigurare, ed è ampiamente esportabile. Party rock mutuato dai 70′s divertente e scacciapensieri, a volte è tutto ciò che serve: non si può vivere solo di pezzi introspettivi o iper-prodotti, no? Disco sbronza dell’anno.
James Blake: Overgrown
Se penso ad una voce di cui ci si può innamorare in senso romantico, immagino lui. Grande voce, grande stile, atmosfere di penombra e tanto groove. Sulla carta non è proprio il mio genere, ma fatto sta che è in heavy rotation nel mio iPod da un bel pò.
Nick Cave and the Bad Seeds: Push the Sky Away Che dire, perché tra i migliori dischi dell’anno ci deve essere il buon Nick mi sembra pure pleonastico. Insomma quando ne trovate uno più degno fatemi sapere.