Ettore Rosato, capogruppo alla Camera parla del destino prossimo del Governo. Il ministro Martina si esprime sui destini a breve del PD. Entrambi concordano su di un punto: se tutte le riforme ancora in itinere non si avvieranno all’approvazione definitiva entro il 2015, allora sarà la fine per il Governo ed anche la fine complessiva del progetto politico Partito Democratico. “Questo Governo è nato per fare le riforme istituzionali, della Giustizia, della Pubblica Amministrazione, del lavoro, della scuola ” spiega Rosato ed alle “riforme non ci sono alternative, servono al paese non al PD. Dovesse interrompersi il percorso” in Senato, “verrebbe meno il patto con gli elettori e non avrebbe senso continuare”, conclude. Ma non sarà solamente il Governo però a giocarsi il tutto per tutto sulle riforme, ancora più drastico è il titolare del dicastero all’agricoltura Martina che si è fatto promotore di “sinistra è cambiamento”, la nuova corrente scissionista dalla minoranza interna PD che pur restando minoranza, vuole dare una mano a Renzi con idee proprie: “se fallisce il Governo non fallisce questo o quel leader, ma fallisce il PD tutto“. Le riforme però, dovranno passare le forche caudine del Senato. Consapevole, Renzi sembra rassegnato a prenderne atto. Lo si intuisce leggendo la “eNews“, il bollettino con la quale tiene aggiornati i renziani tutti, dalla prima e all’ultima ora: il Senato non elettivo è sparito. Il tono e le espressioni utilizzate non a caso a proposito della riforma costituzionale, lasciano pensare alla formula caldeggiata dalla minoranza PD: senatori eletti in un listino ad hoc insieme ai consiglieri regionali oppure scelti tra i più votati di questi ultimi, ma dagli elettori non dalla caste territoriali con accordi sottobanco come prevede il testo già passato in prima lettura alle Camere. Al momento però non si ha notizia di una ipotesi di soluzione del rilievo prospettato da alcuni all’interno del giglio magico: un Senato eletto in occasione delle elezioni regionali i cui Consigli non hanno scadenze e tempi di rinnovo uguali e fissati per tutte le ventuno regioni, non risulterebbe costantemente nella pienezza del suo plenum. Il mandato di buona parte dei componenti infatti, verrebbe a scadere in tempi diversi con maggioranze che in aula potrebbero diventare minoranza a fasi alterne. L’approvazione di alcune leggi, sia pure su materie residuali, ma comunque importanti, potrebbe essere compromessa riportandoci nuovamente di fronte al problema della instabilità di sistema.
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