Diciamoci la verità, il 2015 è stato un anno di merda. Dulcis in fundo (non è il nome di un locale truzzo dove ballare latino-americano) se n'è andato il mitico Lemmy Kilmister, uno dei miei idoli adolescenziali, lasciando un vuoto che sarà difficile colmare con la solidarietà di tutti gli stronzi che in questi giorni si sono improvvisamente scoperti fan dei Motorhead.
Se nel 2014 avevo pubblicato ben 67 articoli, nel 2015 ho scritto in media poco più di un post al mese. Segno inequivocabile che la vita di Obbrobbrio volge al termine, e uno dei miei auspici potrebbe essere addirittura un aborto al quarto anno.
Nonostante la mia stitichezza editoriale, il 2015 virtuale mi ha regalato esperienze indimenticabili: recensire il libro più brutto che io abbia mai letto e, soprattutto, scoprire che un tizio mi aveva plagiato il blog, scopiazzandolo pagina per pagina.
Non è mia intenzione stilare un elenco di buoni propositi digitali. Il blogging va preso per quello che è: un passatempo, un gioco, il diritto di parola dato a qualsiasi cretino. Una marea di frasi, opinioni, interpretazioni, aberrazioni dietro le quali si celano migliaia di sfigati chini su una tastiera, gente che si è autocondannata a rispettare un calendario editoriale pur di non deludere le aspettative di gente a cui non frega un cazzo di ciò che scrive il prossimo, se non nella misura in cui un commento sotto un post diventa mera merce di scambio (di visite). Cose che iniziano a sembrarmi davvero patetiche, proprio come il grattarsi il capo per ore nella speranza di sfornare un articolo che diventi virale. Come una malattia, come la stupidità.
Virali sono anche i tipici propositi di fine/inizio anno: mettersi a dieta, iscriversi in palestra, riordinare gli arnesi in cantina, leggere il nuovo libro di Angelino Alfano. Il mio eterno proposito, invece, è quello di liberarmi dai propositi, dal demone della procrastinazione. Perché, si sa, la vita fugge, et non s'arresta una hora.