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2032, ricordi - 1

Creato il 14 maggio 2012 da Sulromanzo

2032Vent’anni fa. Era la metà di maggio del 2012, risucchiato per alcuni giorni nel Salone del libro di Torino, che oggi non esiste più, chiuse i battenti nel 2019. Curioso di incontrare case editrici e persone, addetti ai lavori e lettori, ricordo che giravo con la t-shirt di kLit addosso, un modo semplice che avevamo pensato per dare ulteriore visibilità al festival che all’epoca nasceva: oggi lo conosciamo diverso, un evento che ha galoppato per due decenni innovandosi e stando sul pezzo ogni anno, facendosi trovare pronto ai cambiamenti. Ma veniamo ai ricordi.

Il Salone si presentava caldo, per la temperatura all’interno dell’edificio, una cosa insopportabile già in tarda mattinata; alcune zaffate, micidiali e fulminee, aromatizzavano un evento che già aveva allora diversi problemi da gestire. Non era il Salone una delle più importanti fiere del libro in Italia? Lo era. Eppure un clima di disagio fra non poche case editrici serpeggiava fra gli stand espositivi.

In quei giorni circolavano articoli in rete e nella stampa cartacea sull’editoria, o meglio, sullo stato dell’editoria, in particolare, si parlava di 700.000 lettori volatilizzati, se non sbaglio fu Nicola Lagioia a parlarne, al tempo lavorava in minimum fax, da qualche anno è in Einaudi.  Si perdevano lettori di continuo, definiti più autonomi. Ho appena recuperato online l’articolo, Lagioia scriveva: “non sarà che molti di quei 700mila si sono stancati di essere menati per il naso? Non sarà che gli editori (tutti o quasi, beninteso) puntando sull’aumento di produzione e trascurando una vera politica culturale, hanno preferito l’uovo alla gallina?”. La mancanza di una politica culturale, trattando i libri come merce, i lettori come consumatori e stupida massa, fatturati.

Migliaia e migliaia di volumi pubblicati scriveva in un altro articolo Roberto Cotroneo, alla ricerca però del bestseller che potesse sostenere le scelte editoriali folli di un sistema che già sembrava destinato al vicolo cieco da lì a pochi anni. E così fu per molti. La Stampa, il quotidiano di Torino, dichiarava: “Non era un effetto ottico, al Salone stava accadendo qualcosa di totalmente imprevisto: i lettori hanno ricominciato a comperare libri, almeno quanti l’anno scorso e molto probabilmente di più. Che fossero aumentati i visitatori era chiaro a tutti: fin da giovedì l’impressione è stata che ci fosse più gente fra gli stand. Ma date le brutte notizie arrivate negli ultimi tempi dalle librerie, nessuno si aspettava che i lettori di sempre acquistassero come sempre”.

Curioso, perché ricordo di avere parlato con parecchie persone sulle impressioni in diretta e tutti, davvero tutti sostenevano l’esatto contrario, facendo anche notare che un’intera area del Lingotto non era neppure stata aperta come nel 2011.

Antonio Sellerio sosteneva: “Come editori dovremmo avere tutti più sangue freddo nell’affrontare questa crisi. Il sistema, nel suo complesso, può sopportare il calo registrato finora. Se ci si lascia prendere dal panico, si finisce però col comunicare agli stessi lettori un senso di diffidenza nei confronti del libro. Diffidenza che proprio non c’è”.

Dove giacesse la verità non era data saperlo, poi venne la storia. Sì, perché le opinioni, i blog, gli articoli, i social network, tutti si dimenavano per racchiudere in paletti comprensibili quanto stava avanzando in quegli anni di crisi economica, pochissimi avevano capito che mancavano soltanto due tre anni al precipizio. L’editoria digitale correva, con ritmi da singolarità kurzweiliani; i più, in Italia, snobbavano il fenomeno, come una goliardata dal tempo limitato, lo avrebbero capito, dicevano. Non avevano capito nulla. Il digitale spopolò grazie agli ereader, ai tablet, agli smartphone, nomi che oggi dicono poco a un giovane, ma che allora si stavano integrando nel mercato con tentativi sperimentali. Oggi, 14 maggio 2032, è uno di quei momenti nei quali guardando indietro la verità si stampava davanti agli occhi di ogni lettore, bastava essere più umili, intuendo che il tempo delle fascette stava morendo, e con esse anche molti editori.

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