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Avrò avuto 15 o 16 anni, proiettarono Woodstock a una Festa de l’Unità, ero in prima fila, abbracciato ad una ragazzina brufolosa di cui ero innamorato perso, del film me ne importava poco o niente. Poi, d’un tratto, la sua voce. Non sapevo chi fosse. Anche dopo averlo saputo, non è che mi abbia fatto differenza. Per dire, mai comprato un suo disco. Quella canzone, interpretata in quel modo, con quella faccia – quella scena, insomma, con tutto quello che di fastidioso pure mi procurava, quelle basette, quella maglietta – solo quello era il mio Joe Cocker, la topica del blues bianco. Non avrei molto da commemorare, in fondo era un artista che riducevo a quegli otto minuti del film. La ragazzina disse: «Cazzo!». «Cazzo!», risposi io. E per otto minuti rimanemmo inchiodati con gli occhi sullo schermo. Una delle cose che non dimenticherò mai.
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