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Across the universe, il mito dei Beatles, l’amore e la guerra

Creato il 18 luglio 2014 da Nicola933
di Michele Giacci Across the universe, il mito dei Beatles, l’amore e la guerra - 18 luglio 2014

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Genere: Musical
Regia: Julie Taymor
Cast: Evan Rachel Wood, Jim Sturgess, Joe Anderson, Dana Fuchs, Martin Luther McCoy, T.V. Carpio, Salma Hayek
2007
131 min

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Di Michele Giacci. La regista americana Julie Taymor, nel 2007, con l’aiuto del compositore e marito Elliot Goldenthal decide di scegliere 33 brani dei Beatles per farne un musical ambientato negli anni sessanta.

Il giovane Jude abbandona la sua Liverpool e s’imbarca per gli Stati Uniti alla ricerca del padre mai conosciuto. Farà presto amicizia con lo sbalestrato Max e con la sua incantevole sorella Lucy con la quale nascerà un’amore costretto a lottare contro gli stravolgimenti della storia americana, dal Sessantotto al Vietnam.

Across the universe nasce e cresce sotto le note di 33 canzoni. Trentatré, scandito come un paziente affetto dal morbo psichedelico degli anni di Woodstock. Trentatré (e mezzo) come i giri di un disco in vinile. Melodie e liriche che attraversano l’universo di giovani sentimentali, idealisti, sognatori. Trentatré brani che fanno da sottofondo ad altrettante mini storie che vanno a comporre lo spartito narrativo del film. Musical moderno che per tonalità di colori, illusionismo registico, personaggi bizzarri e riferimenti agli scombussolati effetti delle droghe è figlio del Baz Luhrman di Moulin Rouge e Romeo+Giulietta.

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Ma sin dall’inizio la Taymor sa di dover prendersi una grossa responsabilità e con gli autori di The Commitments combina un mondo in cui le sfumature sembrano essere uscite da Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e nella quale si muovono personaggi di storie già vissute, o già ascoltate. Jude, Lucy, Max, Sadie, Jojo, Prudence, Dr. Robert, Mr. Kite, Molly, Desmond, Rita, Martha, sono tutte marionette del mondo ”Beatlesiano”. La regista, partendo dai protagonisti delle storie dei Beatles ha voluto tramandarle dando vita alla generazione degli anni ’60 in tutte le sue colorate sfaccettature piene di problemi di comunicazione ma anche di ideali ribelli, e rendendo il tutto ai problemi dei giorni nostri.

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Lavoro impegnativo e di ricerca che viene però agevolato da John, Paul, George e Ringo i quali non vengono mai menzionati all’interno del film ma che vivono nella testa e nel cuore di tutte le generazioni. Julie Taymor usa questo forte legame e porta il teatro ad Hollywood realizzando scenari visivi artisticamente fuori dal comune. Sebbene i brani dei fab four siano leggendari, gli arrangiamenti di Goldenthal cantati dagli attori e rivoluzionati a seconda della storia e del punto di vista, non fanno loro nessun torto. Accostati alle immagini vivaci, folli, romantiche e toccanti, creano un connubio perfetto.

La Taymor racconta l’America vittima e carnefice in Vietnam che distrugge i sogni e le speranze di Lucy. Racconta il pianto di un ragazzino di colore seduto ai margini di una strada messa a ferro e fuoco dai disordini di Detroit minati dalla povertà del popolo nero, nel decennio della seconda più grande segregazione razziale americana. Le immagini toccanti e strazianti vengono farcite di un alone magico dalla voce di un coro gospel e proprio del giovane nero che intonano Let it be, mentre assistiamo ai suoi funerali.

Le scene che prendono vita sono delle vere e proprie esperienze sinestetiche e la vicenda, che poi risulta essere l’anello debole dell’opera, effettivamente non ha alcuna importanza. La complicità delle canzoni e la resa visiva rendono il tutto estremamente efficace. Across the universe non manca di momenti eccessivi e superficiali, come la marcia dei soldati americani in mutande che trasportano il loro governo rappresentato dalla pesantissima statua della libertà mentre schiacciano coi loro stivali il suolo vietnamita.

L’artista Jude sta componendo una natura morta quando viene disturbato dall’arrivo di Lucy e Paco, il nuovo amico rivoluzionario della ragazza che guarda per la prima volta il telegiornale mostrare in diretta le immagini della guerra. Jude dà sfogo alla sua rabbiosa immaginazione: in penombra, mentre intona le parole di Strawberry fields forever, crea una parete di fragole grondanti sangue che continua a spargere sul muro e a terra, fino a schizzare anche sullo schermo, sui corpi e sul campo di battaglia.

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Un tripudio di orrido, macabro e inquietante rosso acceso. Lo stesso colore dell’amore che viene spazzato via dai fantasmi di una guerra tanto inutile quanto sanguinaria. Jude, Max e Lucy non si danno pace, combattono coi loro mezzi e danno vita alla Revolution per cambiare il mondo e ridurre le distanze che si sono aperte tra loro come ferite di una pistola calda. L’America rivive l’ossessione che bianchi e neri non possono coesistere e mentre la chitarra di Jojo (ispirato a Hendrix) piange dolcemente, dall’altra parte il popolo piange Martin Luther King, ma la sexy Sadie (ispirata a Janis Joplin) riporta l’amore sul binario giusto e Jojo non la deluderà.

Across the universe è un inno alla vita in tutti i suoi contrasti e le sue contraddizioni, tra scoperta della sessualità e le nuove droghe che aiutano a distorcere una realtà fin troppo brutta. Musiche immortali, psichedelia, teatro surreale, circo, pittura e personaggi simbolo dell’epoca oltre ai divertenti camei di quelli d’oggi: Joe Cocker e Bono Vox cospargono di colori ed emozioni la controcultura hippy del Greenwich Village.

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Riscoprire un’epoca per raccontarne un’altra, reinventare il genere, riascoltare e reinterpretare la poetica musicale dei Beatles, attraverso volti e suggestioni plasmate nell’infinito che raccontano in modo originale e fantasioso la più classica delle storie d’amore e guerra. Il messaggio di pace ingenuo ma genuino con l’ovvia conclusione, dal ritorno in America di Jude richiamato da Max: “Hey Jude don’t make it bad, take a sad song and make it better, remember to let her into your heart than you can start to make it better”, fino alla consacrazione dell’amore, un’amore tutto da ascoltare, senza dialoghi superficiali o giri di parole, solo musica colori e la magia del momento, perché:

”There’s nothing you can do that can’t be done…”

★★★1/2


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