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209 – Edera – non è solo un quaderno ad anelli

Da Ivy

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Ci sono oggetti impreziositi dalle storie che racchiudono.

È il caso del mio quaderno ad anelli, trovato anni fa, in una cartoleria del centro, durante una passeggiata con la mia migliore amica, Socio

Premessa: Socio e io fra di noi ci chiamavamo sempre Socio, anche interloquendo con altre persone e questa cosa, seppur banale agli altri sembrava curiosa.

Inoltre avevamo un gergo tutto nostro, quello che fin dai tempi delle medie usavamo per discorrere tranquillamente al telefono incuranti dei genitori che avrebbero sì potuto spiarci, ma senza capirci un’acca.

Con gli anni il nostro linguaggio si era ancora di più specializzato e l’ampiezza del nostro vocabolario personale era indicativa di tutte le esperienze vissute assieme. Il gergo in un certo senso, illustrava il nostro profondo livello di amicizia. Era un piacere il condividere solo fra noi, un sapere, quasi una lingua che andava di gran lunga oltre alla comprensione altrui.

Non era un equo rimpiazzare le parole, una di uso comune con una del nostro gergo, era piuttosto come la faccenda della parola “neve” per gli eschimesi e il cammello per i beduini. Cioè come in italiano c’è una sola parola per designare il cammello, sembra che presso gli arabi per indicare lo stesso animale ce ne siano più di cento, a seconda che si tratti di un cammello maschio o femmina, giovane o vecchio, a seconda delle condizioni della sua dentatura, del colore del pelo etc.

Noi, per esempio, soprattutto per colpa mia quando durante l’adolescenza l’idea di Lenticchia assorbiva tutta la mia vita e non facevo che parlare di lui, avevamo tutta una serie di termini e riferimenti per riferirci alle varie espressioni del suo volto che negli anni avevamo imparato a categorizzare.

In ogni caso, qualunque fosse stato l’argomento intavolato fra noi due, nessun altro sarebbe stato in grado di cogliere il significato delle nostre parole. Eravamo in grado di esporre con competenza, di usare un tono che suggeriva la massima ragionevolezza, di padroneggiare codici comunicativi in modo che non si potesse ipotizzare dell’insensatezza dei nostri discorsi. Ci destreggiavamo così bene nel nostro linguaggio ricco di assurdità e termini particolari che chi ci ascoltava poteva soltanto intendere che fra noi due c’era un’ottima e vera comunicazione, ma quel che ci dicevamo restava un mistero.

- Guarda Socio, c’è Lenticchia! -

Mi urlò Socio facendomi dirigere lo sguardo verso la scansia dei quaderni e attirando l’attenzione di altre persone solo per questo. Ora, non è che all’epoca avessi ancora la cotta per Lenticchia ma era rimasto uno dei personaggi preferisti nei nostri discorsi. Soprattutto ci divertivamo, affettuosamente, a rivangare tutti i ricordi che avevamo di lui.

Cominciammo a discutere animatamente davanti al quaderno, esprimendo i più strani giudizi su quell’oggetto e conquistando, involontariamente, la leadership dell’attenzione delle altre persone lì accanto, che curiose cercavano il filo del nostro discorso, non riuscendoci.

La discussione si fece via via più chiassosa, allegra, animata e decisamente tanto sconclusionata. Eravamo due signore serie all’apparenza e il nostro gergo incuriosiva; anzi, viste le persone fermatesi ad ascoltarci evidentemente era proprio uno spettacolo starci a sentire.

- Guarda! Questo è ‘nticchia quando gli si dice che è tre! – e giù a ridere a crepapelle davanti al quaderno.

- E qui è identico a quella volta in via Boc, davanti al Mag, quando Trespolo ci ha dato ragione! - nuova sincera risata indicando una delle figure nella copertina interna.

- Uh! E qui è quando è passato su Hulk e noi stavamo appostate dietro il negozio di Babbo Natale, ti ricordi Socio?-

- Ma non era il Budino sotto tua zia? -

- Nel budino c’era Bum ed era dentro a Booop ma questa è inequivocabilmente la sua espressione quando cavalca Hulk, non vedi? -

- Hai ragione, sì! – ambedue vivacissime per la scoperta davvero entusiasmante.

- Oh Socio guarda, qui è quando si è spaventato perché correvamo dietro a Corri-corri e pensava Spaventapasseri lo sgridasse -

- Sì quella volta ad Alcatraz! -

- Guarda ha anche la stessa frangia! -

- Socio, così piccolo, incavolato e nero non può non piacerti, prendilo, lo avrai vicino a te quando studi! -

- Vabbè Socio, non è tanto piccolo, è altezza bacio. – (e con la mano indicai più o meno la mia altezza, come per assicurare che era alto come me, e anche se io e Socio intendevamo Lenticchia, chi ci stava guardando e ascoltando, sembrava veramente perplesso che due signore potessero discutere così a proposito dell’altezza di cattivik).

- Prendilo prima che arrivi una gallina a fregartelo! -

- Che gelosia! No, no lui è mio!-

Evidentemente a parlare così, in un luogo chiuso si attirava l’attenzione, vuoi anche per il nostro modo di gesticolare a rafforzamento di quel che si diceva.

Alla fine di un discorso ben più lungo di quello riportato ci avviammo alla cassa e dietro a noi tutto il codazzo di gente che si era fermata ad ascoltarci cercando di trovare il bandolo della matassa in quel discorso oltre la soglia dell’intendimento. Ce ne accorgemmo e constatammo sempre ad alta voce, con varie battutine comiche ma ugualmente incomprensibili agli astanti, di come ‘ticchia facesse audience, più o meno ovunque.

Quel quaderno ad anelli lo uso ancora… come continuo volentieri a ricordare le risate di quel pomeriggio in compagnia di Socio.

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(espressione “questo è ‘nticchia quando gli si dice che è tre”, tradotto: quando gli si fa un complimento)


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