Magazine Horror
Fuga di Valeria Bellenda Creatura: Centauro
Correvo da chissà quanto ormai, le gambe mosse solo dalla paura, la milza invasa da acute fitte di dolore che si estendevano per tutta la pancia, il respiro corto e affannoso. Sfrecciavo svelta tra gli arbusti e le felci, scansando di pochi centimetri i tronchi degli alberi che mi circondavano, abbassandomi laddove la vegetazione si faceva più intricata, a trovare uno spiraglio libero e imprecando quando le punte dei rami e le spine dei rovi arrivavano a strapparmi lembi di maglietta fino a graffiarmi la pelle. Non mi ero ancora voltata e non avevo intenzione di farlo, i miei occhi castani puntavano dritti davanti a sé, vigili e attenti alla ricerca di una via di fuga o se non altro, di un nascondiglio che potesse ripararmi. Un uomo dall’aria poco raccomandabile mi aveva agguantato un braccio mentre rientravo a casa, agitando ripetutamente un coltello vicino alla mia gola. Avevo provato a chiedere aiuto ma le strade del mio paese erano buie e deserte, nessuno si era accorto del guaio in cui mi trovavo. Mi ero liberata a fortuna e avevo preso a scappare il più lontano possibile. Lo avvertivo pressante dietro di me, con il fiato caldo ed eccitato e i passi intrepidi; aveva tenuto il ritmo della corsa senza perdermi di vista e aveva accorciato notevolmente le distanze, mentre io stavo diventando a ogni scatto più debole. Avevo appena attraversato un cespuglio dalle foglie urticanti quando scivolai a terra e rotolai per un dirupo, giù giù, la discesa inarrestabile fino a perdere i sensi. Riaprii gli occhi con estrema lentezza e mi tirai su a fatica. Ero intontita per la caduta e mi faceva male dappertutto. Avevo le gambe sporche di terriccio e le braccia graffiate, ma a parte questo sembravo star bene e riuscivo anche a reggermi in piedi. Mi spolverai gli abiti con alcune scrollate, poi mi guardai intorno. Ero sicura di essere precipitata in una sorta di burrone e già riflettevo su come fare a risalire, ma rimasi sconcertata quando mi accorsi di essere in cima, esattamente nel punto dove ero inciampata. Come era possibile? Mi venne in mente l’uomo che mi era alle calcagna e subito inorridii, spaventata. Mi aveva forse raggiunta? Sì, doveva per forza essere così. Mi sorpresi di essere ancora viva, le sue intenzioni erano chiare, voleva farmi del male, di sicuro non mi avrebbe lasciata andare né tantomeno si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di prendermi mentre ero incosciente e indifesa. Cosa era successo allora? Perché mi aveva trasportata di peso e lasciata lì? E soprattutto, lui dov’era adesso? Uno scalpitio mi fece trasalire. Spostai lo sguardo in direzione di un gruppo di sequoie, le cui foglie di un verde intenso oscillavano tranquille al vento. Sussultai non appena scorsi i movimenti di un’ombra, tutt’altro che piccola, che saltava nell’oscurità. Emisi un gridolino soffocato e d’istinto indietreggiai. I miei piedi calpestarono della stoffa e scontrarono qualcosa, mi ci volle tutta per non perdere l’equilibrio ma questa volta rimasi salda. Abbassai gli occhi e cacciai un urlo, lungo, agghiacciante perfino a me stessa. Il corpo di un uomo sulla quarantina giaceva a pancia in sù, gli occhi spalancati e il viso contratto in una ultima smorfia. Riconobbi il mio inseguitore: al centro del suo petto riluceva splendente l’arma che gli aveva tolto la vita, una freccia dorata che emanava un bagliore accecante. Distolsi lo sguardo da quella macabra scena e notai una serie di orme a forma di zoccolo impresse nella terra, che partendo da dove mi trovavo ora si perdevano e scomparivano all’orizzonte. Le lacrime mi si riversarono irruenti sulle guance, nonostante i tentativi di trattenerle. Cosa diamine stava succedendo? Perché quell’uomo che non avevo mai visto mi voleva fare del male? E cosa era accaduto nei momenti in cui ero svenuta? Rimasi nella stessa posizione a lungo, tremando e singhiozzando. Ero perfettamente consapevole che le profondità del bosco dove mi ero addentrata per scappare pullulavano di pericoli e che avrei fatto meglio ad andarmene, ma non avrei nemmeno saputo dire dove mi trovavo con esattezza. -Stai bene? Una voce dal timbro profondo e suadente si mescolò con il fruscio del vento, facendomi rabbrividire. Alzai il capo, ma non vidi nessuno. -Più o meno- risposi, titubante.Attesi che la voce si facesse nuovamente sentire, attimi che parvero interminabili, ma non accadde. -Mi hai salvata tu per caso?-azzardai, sperando che continuasse a parlare. Il silenzio che seguì mi deluse. Avevo cominciato a sentire una voce ma non vedevo a chi apparteneva, forse mi ero sognata tutto o forse stavo diventando pazza. -Sì- rispose, in un tono così soffice che sembrò accarezzare ogni millimetro della mia pelle. Vagai con lo sguardo e notai tra gli alberi un’ombra imponente, la stessa che avevo visto prima. Era lontana, non potevo focalizzare nessun dettaglio della sua figura, ma a dispetto di ogni normale aspettativa, pareva quasi avere fattezze animali. -Grazie. -Il tuo inseguitore voleva usarti per arrivare a me. -Non capisco-ammisi-Io non riconosco la tua voce e tu non ti fai nemmeno vedere. Come possiamo avere un legame?-So che ti sembrerà strano, ma tu sei la sola persona che può percepire la mia presenza. Rimasi di stucco. -Ecco, lo sapevo, sto davvero impazzendo. Rise, una risata bassa e rassicurante che mi fece involontariamente arrossire.-No, sei normalissima. Ogni umano ha una personale facoltà di immaginazione, una illimitata creatività. E’ da essa che siamo nati noi. -Noi?-Noi creature chimeriche- completò- Viviamo nello stesso momento e nello stesso luogo di voi umani, anche se apparteniamo a due mondi diversi: voi a quello reale, noi a quello immaginario. Coesistiamo e a volte condividiamo momenti insieme. Ognuno di voi può parlare solo ed esclusivamente con la specifica creatura della sua fantasia, tuttavia può capitare che gli umani e le relative creature generate nascano, crescano e muoiano senza mai essersi conosciuti. Era senza dubbio una delle storie più astruse che avessi mai sentito, ma per qualche ragione gli credetti e provai a seguirlo nel suo discorso. -L’uomo che mi inseguiva sapeva quindi che avrei potuto incontrarti? -Sì, lui sapeva della nostra esistenza. La sua creatura gli aveva rivelato di te e del nostro legame ed era disposto anche a farti del male pur di far sì che tu lo conducessi da me. -E se posso saperlo, che cosa voleva? -Il mio arco d’oro-rispose serio- La freccia tesa da questo obbedisce al desiderio di colui che la scaglia. Si può ottenere tanto da lui. La morte, la gloria e perfino l’amore.Mi ricordai della freccia luminosa conficcata nel petto di quel corpo senza vita. Era una delle sue! Mi rialzai, fissando la macchia verdeggiante dietro la quale lo avevo sentito parlare fino a quel momento. -Posso vederti?Volevo una prova che non mi stavo sognando tutto. Balzò fuori dalle ombre in un vigoroso salto ed io fui accontentata. I suoi zoccoli spessi attutirono l’impatto con il terreno, ma fecero lo stesso un gran tonfo, sollevando una nuvola di polvere vicino alle sue zampe. I fili della sua coda si mossero nervosamente a destra e a sinistra, come a voler pulire l’aria dai granelli. Avanzò verso di me, galoppando senza fretta, lasciando tutto il tempo per abituarmi. Fissai dapprima il viso: i lineamenti duri e mascolini, i ricci neri sulla pelle bronzea, le labbra piene e gli occhi scuri. Poi proseguii verso il basso. I suoi muscoli perfettamente tesi gli scolpivano linee sinuose sul torace nudo, dove stringeva a sé il suo arco d’oro e le sue frecce. Si reggeva e camminava su quattro cosce dal manto marrone che erano in continuo movimento e che gli donavano un’aria rude e selvaggia. -Mezzo uomo, mezzo cavallo- commentai attonita.-Un centauro-precisò-Il tuo centauro. L’aggettivo “tuo” mi fece correre un brivido lungo la schiena. Ero elettrizzata! Non avevo mai visto nulla di simile, nemmeno nei miei sogni più arditi, eppure quella splendida creatura l’avevo generata io. -La creazione avviene sempre a livello inconscio-spiegò.-Ah ecco-commentai e aggiunsi-Ho fatto davvero un ottimo lavoro. La sua figura era imponente, a tratti minacciosa, il corpo di cavallo gli assicurava la velocità dell’animale mentre il busto e le braccia di uomo lo aiutavano a girarsi per mirare bene con il suo arco. Un suo attacco era senza dubbio letale, ma avrebbe avuto la possibilità di finire il malcapitato anche solo schiacciandolo sotto il suo peso. Era pericoloso, ma percepivo che non mi avrebbe fatto del male. -Posso toccarti?-chiesi.-Sì. Iniziai a sfiorargli il pelo, facendo scorrere le dita lungo la sua schiena. Avvertii la sua pelle soffice e morbida reagire al mio tocco e lui fremere di piacere. Lo guardai un po’ imbarazzata e continuai. C’era tensione tra di noi, una tensione giocosa e sensuale che mi faceva battere il cuore a mille. Ripassai la mano avanti e indietro sul suo manto, con delicatezza, poi dovetti fermarmi: mi aveva stretto il polso con la sua mano e ora mi stava attirando a sé! Mi ritrovai con il capo poggiato al suo petto, a sentire i suoi battiti incontrollati e a respirare il suo profumo, intenso, pungente, che rievocava assieme il muschio e la magnolia e le mie gambe quasi cedettero per l’emozione. -Adesso sai che non sono un sogno o una visione, che sono reale e che lo sono esclusivamente per te.Si chinò a baciarmi, con una tale irruenza che dovette sostenermi con un braccio per impedirmi di cadere. Al contatto delle nostre labbra persi lucidità e fui investita da una girandola di sensazioni. Quando ci staccammo, continuò a guardarmi come se avesse voluto tramortirmi di baci. La sua espressione era un riflesso del mio stesso desiderio. -Wow-bisbigliai. Lui sorrise, flettè le zampe e si piegò in avanti, abbassandosi alla mia altezza. -Cosa stai…-Sali. Esitai.-Avanti, ti riporto a casa.L’idea di tornare nel mio letto era allettante e il pensiero di tornarci in sua compagnia mi mandò in estasi. -Ok. Gli montai in groppa e mi posizionai cavalcioni sulla sua schiena. -Reggiti, adesso mi alzo. Feci come suggeriva, circondandogli il busto con le braccia. Mi tenni ancorata a lui mentre si sollevava maestoso e nel giro di pochi secondi stavamo già cavalcando lontano. Un soffio d’aria mi spostò i capelli dalla fronte, solleticandomi la pelle. Ero in uno stato di torpore, un senso di spossatezza mi faceva girare la testa come in una giostra al luna park. Udii il cinguettio di un uccellino e più lontano alcuni fruscii, forse foglie al vento. Sollevai le palpebre: mi si aprì uno squarcio di cielo scuro, puntellato di stelle luminose e una luna a tre quarti, che sembrava un viso piangente. Mi misi pian piano seduta, i graffi bruciavano come tizzoni ardenti. Ero in una fossa, in fondo al dirupo dal quale ero scivolata. Rivolsi lo sguardo verso l’alto e notai un uomo che mi osservava. Non appena lo riconobbi mi ghiacciai. Era il mio inseguitore, era vivo e mi aveva raggiunta. -Fine della corsa-disse, con un ghigno soddisfatto. Si piegò per venirmi a prendere; incredula, scossi il capo in una muta supplica, come a volerlo dissuadere dallo scendere fino a me. Non sortii l’effetto desiderato. -Dov’è lui?- chiese febbricitante-Dimmelo, altrimenti…- Mostrò il suo coltello. Non feci in tempo a parlare che una freccia dorata solcò l’aria, colpendogli una spalla. Il centauro si avvicinò ma riuscii a vederlo solo io. -Sono qui- rispose-Non osare più darle fastidio, altrimenti…-Espose il suo arco d’oro-Non avrò alcuna pietà di te. -E io non ne avrò di te-replicò una nuova voce, spalancando le fauci e partendo all’attacco, ma io non percepii nulla.