È da qualche tempo che ho maturato una certa difficoltà nel farmi capire quando parlo dei colori. Mi chiedo se sia un problema tutto mio o se sia generalizzato. Forse è qualcosa che ha a che fare con la nomenclatura del Novecento, perché io nel Novecento ci sono nata.
Anche voi, fidi lettori, vecchi babbioni del secolo precedente, avete le mie stesse difficoltà? Avete continue incomprensioni con l’estetista, il parrucchiere, le commesse dei negozi di abbigliamento?
Io sì.
In genere -quando non mi ritrovo con le loro palette- sto zitta e cerco di riadattare la mia paletta alla loro. Mi sforzo di capire dove collocano i colori secondari, i freddi e i caldi. Ma vi garantisco che è difficile. Quando sento dire: “Il cedro è un colore caldo” o “Ma non è grigio, è tortora!”, mi viene da svenire e mi torna in testa una frase del mio lessico familiare: “Non è pesce: è tonno!”.
Mi ritrovo a dove usare i colori primari, e descrivere i secondari come mescolanze: “Intendi dire quel giallo verdino?”.
Penso di essermi scombussolata il cervello, di aver perso l’occhio, di avere un astigmatismo galoppante o un daltonismo incipiente. Poi parlo con gli amici giardinieri, con i colleghi pittori, e tutto magicamente si incasella. Nessuna incomprensione, tutto va al suo posto: temi di non essere compresa, ma ti accorgi che dall’altra parte il messaggio telepatico contenente quella certa frequenza e lunghezza d’onda, è arrivato senza fraintendimenti.
Allora perché le etichette sono così confusionarie?
La spiegazione è semplice, ma quello che c’è dietro è molto complesso. Sono le merci che provengono da altri paesi a non essere etichettate in maniera coerente con le nostre vecchie diciture, e -anche peggio- non coerente tra loro. Noi acquistiamo le merci (in realtà solo le merci che acquistano noi, ma questo è un altro capitolo della storia), leggiamo le etichette, apprendiamo che quel cappello o quello smalto sono di quel colore, e lo trasferiamo ad altri oggetti, i quali non hanno la stessa provenienza e hanno etichette differenti, con un colore differente. Iniziamo pertanto a utilizzare i due termini in maniera interscambiabile, facendo confusione.
Le parole migrano molto velocemente.
Esempio lampante: il viola. Noi per viola intendiamo una mescolanza più o meno equilibrata tra il pigmento azzurro e quello magenta.
Viola caldo se è più magenta, viola freddo se è più blu. Viola scuro se è più saturo, viola chiaro, lilla o ciclamino se c’è più bianco.
Con l’importazione di merci e colori americani, è diventato comune l’uso di indicare come “porpora” i colori viola. Perché per gli anglofoni il porpora è un viola acceso, mentre “violet” è un color viola freddo, a seconda dei casi c’è pure un po’ di grigiolino.
Non sono proprio termini invertiti ma quasi. Basta che diate un’occhiata alle pagine di Wikipedia inglesi o americane, cercando “purple” e “violet”.
Il fatto è che da noi il porpora è un rosso acceso, scuro, saturo. Eppure spesso sono costretta a usarlo per intendere un viola scuro e freddo, che noi indichiamo genericamente con il termine “indaco”. Ma se dico “indaco”, di solito le persone pensano ad un azzurro chiaro, ceruleo.
Il colore che mi sorprende è il tortora. Vi prego, arrotate le erre quando lo leggete. Torrrrr-tou-rah.
Qualche anno fa, in una sfilata importante, alcuni stilisti coniarono nuovi termini per i colori, come il famoso “greige”, un misto tra il marrone e il beige.
Bene, ricordo con estrema precisione una puntata di “Che tempo che fa” in cui Fazio ironizzò sulla necessità di coniare nuovi termini, dicendo: “Ma i nomi per questi colori non c’erano già? Ad esempio il greige non si chiamava tortora?”.
Non so se gli stilisti furono colpiti, evidentemente come lo sono stata io, dal ricordare l’esistenza del color torrr-tou-rah, ma sta di fatto che il tortora impazza (e anche le tortore, uccelli che evidenziano l’impoverimento della biodiversità della fauna periurbana), per quanto le tortore siano più grige che tortora.
La confusione tra verde, turchese, azzurro e blu, è tale che non riesco a scriverne.
Grandissimi pasticci anche per quanto riguarda la temperatura dei colori. A quanto pare “freddo” è diventato sinonimo di scuro, mentre “caldo” di luminoso, quindi poco saturo o con molto bianco.
Il giallo freddo è un mistero della fede per molti.
Verde caldo o verde freddo sono esclusi dalla sfera della merceologia, ci sono solo tinte esotiche, come “verde bengalese”, “avocado”, “lime”, “jungla” “pakistan”, e vi giuro, in un colpo di politicamente corretto, anche un “islamic green”.
Conierò un nuovo nome anche io, il “blu roccella”. Se volete sapere che colore è, prego avvicinarsi alla spiaggia di Roccella, in zona Dogana, verso le quattro dei pomeriggi invernali.
Archiviato in:Conoscenza, ricerca Tagged: colori, grigio, indaco, porpora, rosso, saturazione dei colori, sfumatura di colore, temperatura dei colori, verde, viola