Questo articolo è stato scritto per Sul Romanzo.
Il 23 settembre 1985 era un
lunedì. La città si tuffava nel mare, con le luci che cadevano sull’acqua e si
spingevano molli fino alla linea dell’orizzonte. C’era aria calda, dell’ultimo
vento d’estate. La strada che portava al Vomero intersecava Piazza Leonardo. La
voce che usciva dalla radio accesa si mescolava al fragore delle onde in
lontananza. Era buio, le giornate in quel finire di stagione si accorciavano
come le maniche di una vecchia camicia, ormai corte per un ragazzo che cresce.
La Mehari verde tagliava il vento, correndo sicura. Due uomini fumavano
nell’oscurità, posati a un muro. Orinavano, si facevano notare. Erano lì fermi
da un paio d’ore, in attesa che qualcosa accadesse. Il motore della Mehari si
spense, e il vuoto fu subito riempito da dieci colpi di pistola, sparati nel
buio di una notte appena iniziata. La notizia arrivò presto nella redazione de
Il Mattino. Una telefonata come tante, quando il giornale si deve chiudere e
mancano poche righe da riempire. Giusto per sapere se qualche fatto è accaduto.
E quel fatto, richiesto per prassi, senza alcuna convinzione, era accaduto, ed
era un fatto sconcertante. Giancarlo Siani, ventisei anni, era appena stato
trovato morto nella sua auto, ucciso da una scarica di pallottole alla testa.
«Giovane cronista assassinato a Napoli», avrebbero scritto il giorno dopo.
Giancarlo era un giornalista pubblicista, che agognava – come molti della sua
generazione – il tesserino. Scriveva di nera da Torre Annunziata, facendo vita
di redazione nella sezione distaccata de Il Mattino a Castellammare di Stabia.
Aveva iniziato con articoli sul mondo dei giovani, per poi passare a
L’osservatorio sulla camorra, diretto da Amato Lamberti. La notte in cui è
stato ucciso rientrava dalla redazione centrale de Il Mattino di Napoli, dove
era stato trasferito per una sostituzione estiva. Era un abusivo, uno senza regolare assunzione. Seguiva le notizie, le
evoluzioni della verità, con passione e dedizione. Firmava i suoi articoli e Allora la firma contava quanto l’amore e più
del resto*. Fu proprio quella firma,
nel fondo di un articolo datato 10 giugno 1985, a condannarlo a morte.
Valentino Gionta, potente boss di Torre Annunziata, era stato arrestato.
Giancarlo ne aveva scritto, l’indomani, ipotizzando un possibile tradimento tra
alleati. Nei tre mesi che seguirono, tra il 10 giugno e il 23 settembre, boss e
affiliati si riunirono, valutarono, pianificarono. Il verdetto fu
l’eliminazione del giovane giornalista. L’onta di un tradimento valse la vita
di Giancarlo.
Il processo, iniziato con un
arresto lampo e una scarcerazione altrettanto lampo, fu lungo e travagliato.
Pentiti, arresti, condanne. Una sola certezza: Giancarlo è stato ucciso per
quello che ha scritto. Unico giornalista morto per mano della camorra.
Sono
passati ventisei anni dall’uccisione di Giancarlo Siani. Esattamente gli stessi
che lui aveva il giorno in cui è morto. Un doppio che trova da un lato la vita
intensa, passionale e colorata della sua presenza, e dall’altro i misteri, i
silenzi e le mezze verità della sua assenza. Come vive questa strana bilancia
del tempo?
Paolo Siani – Fratello di
Giancarlo Siani
Questi 26
anni senza Giancarlo pesano, mi pesano molto. Sento la sua mancanza, e non
riesco a rassegnarmi alla sua ingiusta morte. Per questo motivo cerco con tutte
le mie forze di tenerne vivo il ricordo e l'altra settimana 3 milioni e mezzo
di persone (un'enormità) ha potuto vedere su Rai 1 la sua storia raccontata da Marco
Risi nel film Fortapasc. Lui vive nel mio ricordo giovane, allegro e spensierato,
e molto impegnato a fare i suoi primi passi nel mondo del giornalismo.
Giancarlo
quest’anno avrebbe 52 anni, ma la magia del cinema lo mostra in Fortapasc giovane ventiseienne,
mentre tutti noi siamo invecchiati e abbiamo ormai i capelli bianchi. Lui
voleva semplicemente fare il giornalista e raccontare quello che vedeva, senza
pregiudizi e con lealtà, ma la mano armata di due killer ha spazzato via i suoi
sogni, i nostri sogni.
*Da “L’abusivo” di Antonio Franchini ed. Marsilio: Daniela Limoncelli, collega di Giancarlo Siani a Il Mattino E io ho un ricordo bellissimo, di una persona disponibilissima, allegra. Comunque di una persona incosciente e responsabile, così come eravamo tutti incoscienti e responsabili in quel periodo, a quell’età. E senz’altro con una grossissima voglia di fare questo lavoro. Questo senz’altro. Maria Rosaria Carbone e Maurizio Cerino, dal libro Da Corleone a Torre Annunziata. Il caso Siani. Ci sono anche altri killer. Giancarlo è stato ucciso dalla sua solitudine di giovane corrispondente in una terra di camorra, dall’indifferenza di un sistema a volte perverso, quello del mondo del giornalismo, per entrare nel quale o hai i tuoi santi in paradiso o devi letteralmente sudare sangue. Antonio Franchini Adesso so che era un ragazzo assieme al quale avevo cercato di raggiungere una meta. Il tempo ha fatto sì che del mio insuccesso io mi sia completamente dimenticato, mentre del suo, dovuto alla morte, abbia continuato a interrogarmi fino quasi a perderne le ragioni smarrendo così anche la radice del nostro rapporto. Ora, vedere che di quello stesso genere di esclusione c’è ancora chi soffre mi convince che aver condiviso un desiderio frustrato basta a concedere il diritto di parlare, e che la condivisione della sconfitta può unire coloro che, come noi e come molti della nostra generazione, sono i reduci da nessuna guerra. Barbara Greggio






