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26 febbraio 2011

Creato il 26 febbraio 2011 da Soniaserravalli

IL CAIRO MI INGHIOTTE

Oggi vale come mille giorni e il pensiero di raccontarlo mi travolge. Provo dunque a mettere le nuove notizie ed esperienze giù per punti, rimettendo in piedi questo post a partire dagli squarci di sabbia che sono Tahrir adesso, da dove sono state estratte le pietre per le sassaiole dei giorni della violenza.

Ieri notte hanno sparato in Tahrir Square. Era l’esercito che voleva far sgombrare i manifestanti, perché dopo l’episodio del poliziotto al Maadi vogliono di nuovo metter tende in piazza, violare il coprifuoco e farsi sentire. Pare sia stato un ragazzo della gente a colpire per primo un soldato e che poi i militari abbiano reagito con spari in aria per far scappare tutti. La mattina stessa, l’esercito chiede scusa via Facebook…

Con il rumore assordante che sento comunque, tra carri armati che si muovono, traffico dalle sei e questo cantiere gigante che ho davanti al Museo, non ho nemmeno avvertito gli spari – ciò dovrebbe dare l’idea del volume notturno del Cairo – e meno male che ci sarebbe il coprifuoco. I carri armati sono calati notevolmente di numero rispetto al venerdì. Nessun ferito ieri notte, ma oggi le manifestazioni sono aumentate. Questo è già parte della mia serata, partiamo da prima.

Questo articolo riassume abbastanza bene la giornata del venerdì.

Le mie ultime visioni di ieri: una famigliola egiziana che si ferma sotto il mio balcone facendo il segno della vittoria mentre aspetta che io scatti la mia foto, e l’immagine di ragazzi che si sdraiano per strada in segno di festa, in segno di possesso: la foga con cui i giovani adesso sentono proprio ogni centimetro di terra è una sensazione che non avevo mai considerato in vita mia. Apro i battenti tra il museo e Tahrir, e c’è il sole. Si è ripulita l’aria con la tempesta di sabbia e per la prima volta al Cairo vedo il cielo blu. Prima visione della mattina: un convoglio di persone a piedi che cammina reggendo di nuovo una bandiera chilometrica, scortata dai soldati.

La giornata continua con la raccolta informazioni, mentre attraverso le viscere della metropoli tentacolare. Imparo anche ad attraversare le strade – il mio vero incubo qui – quando scopro che si segue una sorta di ritmo, di onda, e che il segreto delle vie apparentemente anarchiche del Cairo è una danza.

Cairo Islamica, poi Sayyida Zeinab, poi Al Azhar Park da sola in attesa del lungo tramonto – uno dei più intensi che io ricordi. Il canto della moschea dopo il calar del sole da lassù ha una risonanza che al confronto fa svergognare qualsiasi mini-moschea delle zone turistiche. Sembra un imbuto di invocazioni a Dio dal cuore della terra agli astri. Mangio un gelato aspettando il buio davanti ad uno dei panorami più vasti di tutti i viaggi. Coincidenza incredibile: nel Parco Al Azhar incontro un gruppo di sei italiani, gli unici stranieri che abbia incrociato finora in città, e me li ritrovo due ore dopo nel mio stesso ostello – e parliamo di una città di venti milioni di abitanti…

Nonostante i chilometri macinati e la stanchezza data dal traffico e dai rumori, non appena l’ultimo tassista mi lascia di nuovo a Tahrir mi riassale quell’adrenalina mista a curiosità e partecipazione. Voglia di documentare ma soprattutto di esserci. I cori non si sono placati da questa mattina, anzi le persone sono aumentate. Si raggruppano a capannelli di trenta, cinquanta persone, dopo decenni in cui non hanno potuto farlo. Gli assembramenti si moltiplicano sempre attorno a un leader, che a volte ha vent’anni e a volte cinquanta, ed è quello che di solito sale sulle spalle di un amico e da lì incomincia ad arringare. La gente aumenta tutt’intorno, unendosi ai cori che ripetono le frasi del leader, persone che perdono la voce per far sentire le loro ragioni e mi chiedo come mai non si siano dotati di megafoni, dato che la stoffa del leader ce l’hanno e che anche i loro messaggi sono giusti. Un capannello era guidato da una donna. Gli slogano urlano le liste dei politici che la gente vuol vedere sparire dal governo attuale, perché collegati all’ex presidente, tra cui in prima fila il Primo Ministro Ahmed Shafik. Poi gridano spesso che vogliono il sostegno dell’esercito, che esercito e popolo sono uno. Ancora dicono che non vogliono più Mubarak in nessuna forma, perché mi hanno spiegato che i politici dei vertici dei governi stranieri continuano a comunicare con lui e anche a visitarlo a Sharm El Sheikh. Ho parlato con un numero di persone di cui ho perso il conto, tutti uomini maturi oppure ragazzi gentili, protettivi, curiosi e a cui – ma guarda che novità – piacciono gli italiani. Una strana formula magica che mi sento ripetere dovunque io stia viaggiando per il mondo – e io temo sempre che all’estero siano rimasti legati ad un’immagine vecchia di noi. Speriamo e cerchiamo di non perdere questa buona nomea presso gli altri popoli… Un po’ in arabo (soprattutto), un po’ in inglese e un po’ in italiano, sono riuscita a farmi tradurre gli slogan che ho riassunto qui sopra. Un signore gentile mi ha regalato la fascia del tricolore. Sul ponte attraverso il Nilo da Tahrir quattro ragazze egiziane si sono fermate per ringraziarmi di essere in Egitto. Il cuore mi scoppia di riconoscenza, anche se mi dispiace che per quanto io mi vesta in maniera anonima sia così evidente la mia “stranierità”.

Di nuovo mi è stato riconfermato da fonti inequivocabili che l’esercito durante la rivoluzione ha disertato, e che se non lo avesse fatto qui sarebbe finita come in Libia, perché l’ordine di sparare era stato dato. Ma ho promesso a me stessa di non tornare più su questo argomento.

In Egitto c’è ancora tanto da fare, quasi tutto. Questa sera mi sono presa delle ore a respirare l’aria delle dimostrazioni di Tahrir, mi sono unita a loro, ho scelto di lasciarmi ipnotizzare da quell’energia vibrante che farebbe sentire a casa chiunque, perché questa non è più una piazza nel mondo, questa è la dimensione universale della liberazione.

Dunque ho respirato il fuoco della giovane età dei leader che guidano le masse, li ho visti e sentiti con i miei occhi, mi sono lasciata ammaliare dalla loro primordiale agilità nel salire a gridare sui semafori, sulle insegne alte decine di metri, nel saltare come se fosse passeggiare le barriere che separano i marciapiedi dalla strada, nel salire e scendere dagli autobus al volo. Persone così piene di energia e di vita, così vispe e perspicaci, e così giovani, non si meritano che questa loro forza instancabile finisca nelle mani di pochi spregiudicati governanti del mondo. Non sono cieca e conosco le trame losche dietro i carnevali, ma per una volta voglio credere che il fulcro delle leve sia la gente. Davanti a me hanno sbarrato il traffico a forza: i militari mantengono l’ordine finché possono, ma quando la gente decide, l’esercito è nelle loro mani. E non possono che assecondarli. L’ho visto con i miei occhi: inizialmente creare una catena umana di civili, cercando di lasciare almeno una corsia per il traffico abnorme che passa per Tahrir, e poi i dimostranti che s’impossessavano di nuovo di tutto lo spazio: cambio di programma da un minuto al’altro. E una nuova catena umana andare a formare il sit-in per bloccare l’accesso ad ogni mezzo, e i militari adeguarsi al nuovo ordine procurandosi al più presto le transenne, correndo agli ordini del popolo, perché il popolo ha deciso così. Così è come voglio immaginarmi il seguito di questa storia.

26 febbraio 2011



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