Questa edizione del festival non si preannunciava bene: la regione ha negato il patrocinio, spingendo il Ministero per le pari opportunità a concedere il proprio. Inoltre, minori fondi han portato a tagliare un giorno di programmazione. Il festival, tornato al suo luogo storico, il cinema Massimo, ha registrato un buon successo, nonostante slittamenti di orari non graditissimi. Ospiti importanti: Lindsay Kemp per ritirare il premio Dorian Gray, Veruschka per il documentario su di lei co-diretto da Paul Morrissey, Dario Argento per i tre horror-thriller della sezioncina “Midnight Madness”.
Ha aperto lo svedese Four More Years: politico liberale, apparentemente etero, cede all’attrazione per rivale socialdemocratico. Ben scritto, con almeno una battuta – “La bisessualità è un mito inventato dal Ministero della salute” – e una situazione – la moglie che rivela al marito di conoscere bene il suo essere gay – da ricordare. Gli attori, tra cui la regista Tova Magnusson, sono bravi, come in un’altra piacevole commedia, Leading Ladies di Daniel e Erika Randall Beahm, americana, nella sezione “Lesbian Romance”. Una famiglia sui generis, con una madre che vorrebbe comandare le due figlie, ma quella a cui vorrebbe far vincere una gara di ballo resta incinta, l’altra si scopre lesbica e prenderà il posto della sorella. Cambiamento, scoperta di sè raccontati senza banalità. Qua e là eccessi di scrittura brillante nel cercare le risate, e l’estetica è vicina alla tv. Qualche volta il musical esplode inaspettato – al supermercato!-, ma la gara finale è significativamente castrata.
Nella sezione (”Cinemascape”) di Four More Years, uno dei film più belli, la coproduzione tra Perù, Colombia, Francia e Germania Undertow, premio del pubblico al Sundance, di Javier Fuentes Léon. La relazione clandestina tra Miguel, sposato, quasi padre, e il pittore Santiago si complica quando questi all’improvviso gli si presenta come fantasma che può esser visto solo da lui. La relazione tra i due potrebbe essere più libera (bella la scena in cui camminano tranquilli tra la gente), ma Miguel, che ha sempre vissuto nella doppiezza, vede scoperto il suo passato prossimo, e dovrà affrontare fino in fondo la questione (dimostrandosi “uomo”, in un certo senso) con la moglie e la comunità, facendo riposare in pace la persona amata. Emozionante.
In concorso lunghi, il filippino The Affair, storia d’amore tra uomini che si dipana in anni, con brevi momenti di vicinanza e ampie attese. La storia del paese interferisce, ma resta fuori campo. Il che non aiuta, ma soprattutto il film affonda in una piattezza che porta ad uno scarso interesse verso una vicenda “classica”, ma potenzialmente appassionante. Nonostante le fiammate di sesso, è tutto sedato. Meglio la coproduzione danese-brasiliana Rosa Morena di Carlos Augusto de Oliveira. Thomas, gay danese, va in Brasile per soddisfare il desiderio di paternità e conosce una ragazza incinta, Maria, con cui si accorda per la cessione del nascituro. Thomas paga e intanto vive lì con lei e la sua “famiglia” – sorella, amico/amante e bambini – . Ma rischia di restare vittima della sua indolenza e della sensualità della ragazza. Film interessante nel mostrare questo incontro-scontro di personalità in un paese difficile, specie per un europeo impreparato, e Bárbara Garcia nel ruolo di Maria è bella e brava.
Documentari a volontà, sparsi nelle sezioni, compresa quella sull’omofobia. Nel focus “Iran, nodo alla gola”, Transsexual in Iran di Tanaz Eshaghian, che si incentra, attraverso un chirurgo e alcuni pazienti, su un’assurdità iraniana: l’omosessualità è punibile con la morte, ma le operazioni per cambiare sesso sono permesse. Colpiscono la disinvoltura delle persone di fronte alla camera, il trans che dice male dei gay e la triste situazione dipinta: “Se foste all’estero vi operereste?”, chiede la regia e i più rispondono “No”.
La neonata sezione “Vintage” quest’anno è stata sottonominata “Italia 150: il nostro risorgimento”. All’interno, una chicca quale Bionda fragola, commedia – diretta da Mino Bellei e da lui interpretata con Umberto Orsini – con coppia gay protagonista, più un terzo incomodo, che non si vedeva da un pezzo: film divertente, pur di intuibile origine teatrale e con una seconda parte meno fluida.
Anche nei corti in concorso, alcune cose di valore, come lo spagnolo Uniformadas, curato, con la sua bambina (un’attrice straordinaria) che si muove tra casa e scuola – retta dalle suore – e i suoi precoci bagliori di identità lesbica. Pure il film vincitore sia del concorso lungometraggi che del premio del pubblico, Tomboy di Céline Sciamma, vede protagonista la verde età, con una bambina che di fronte ad una coetanea si finge maschietto. Una menzione speciale è invece andata allo spagnolo For 80 Days di Jon Garaño e Jose Mari Goneaga, che racconta dell’età opposta: un affetto ritrovato tra due donne che sono ormai anziane.
Alessio Vacchi