“Però non esageriamo, perché il problema è proprio questo: io ci sono e so bene che, pur di poter vivere, il prezzo che pago è di accettare qualunque punto di vista. E mentre lascio vagare il mio sguardo sulla piazza che riposa tranquilla nella luce del tramonto, sulla strada provata dal temporale eppure piena di mille promesse, già avverto crescere e lievitare in me questa disponibilità: proseguirò la mia vita che non è proseguibile. Mia madre mi sta aspettando e probabilmente sarà felice di rivedermi, la poveretta. Ricordo che un tempo aveva in mente che io diventassi un giorno ingegnere, un medico o qualcosa del genere. Probabilmente succederà proprio come lei desidera; non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza e sul mio cammino, lo so fin d’ora, la felicità mi aspetta come una trappola inevitabile. Perché persino là, accanto ai camini, nell’intervallo tra i tormenti c’era qualcosa che assomigliava alla felicità. Tutti mi chiedono sempre dei mali, degli “orrori”: sebbene per me, forse, proprio questa sia l’esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno.
Sempre che me lo chiedano. E se io, a mia volta, non l’avrò dimenticata”. (I. Kertész, Essere senza destino)
(ps. Auguri, Noise)