3 nelle prime 100, nessuna fra 200

Creato il 05 settembre 2011 da Stukhtra

Vorrà dire qualcosa?

di Marco Cagnotti

Sto diventando insofferente. Quando leggo sulle riviste o sui siti italiani di divulgazione scientifica qualche sviolinata sulle “punte di eccellenza” della ricerca italiana, oppure quando ascolto alla radio un dirigente (magari fresco di nomina, ché Beata Ignoranza ha appena provveduto) sbrodolarsi addosso i meriti del suo prestigioso istituto, avverto un senso… come dire?… di fastidio. Quasi di schifo. Questi autoincensamenti su “quanto siamo bravi ” e su “quant’è antica e prestigiosa e tuttora ammirata la tradizione scientifica dell’Italia, la patria di Galileo e di Fermi”, mi fanno solo girare i coglioni. Perché son tutte fregnacce.

Una vecchia barzelletta confronta la storia italiana con quella svizzera. L’Italia, dice, ha subito invasioni, massacri, guerre e violenze a non finire. E che cos’ha prodotto? Leonardo da Vinci, Michelangelo, Caravaggio. Dante Alighieri, Giacomo Leopardi e Italo Calvino. Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Ohibò! Mica cazzi. La Svizzera invece ha alle spalle sette secoli di storia pacifica. E che cos’ha prodotto? La cioccolata e l’orologio a cucù! E giù a scompisciarsi.

Già, già.

Poi però ogni anno ti vai a leggere la classifica delle migliori università del mondo. Scopri così che nelle prime 100 ce ne sono tre svizzere: i Politecnici federali di Zurigo (18) e di Losanna (35) e l’Università di Ginevra (69). Se poi consideri le prime 200, trovi anche le Università di Zurigo (106), di Losanna (136), di Berna (143) e di Basilea (151). Invece le Università italiane come si piazzano? Ecco… non si piazzano. Non ci sono proprio. Fra le prime 200 non ce n’è nemmanco una.

Ora si dirà che è una classifica discutibile. Come tutte le classifiche, peraltro. Che va presa con le pinze. Che non si può assolutizzare. Che ci sono nicchie di eccellenza e…

…’fanculo. Sono fregnacce. Sono le scuse di chi vive nella merda e fa finta che non ci sia. E guardando chi invece sguazza nella ricchezza si consola dicendo che in fondo la merda non è poi tanto male. Anzi, vedi un po’, nel gran mare di merda galleggia una piccola zattera con un fiorellino: la “nicchia di eccellenza”. E tutti lì a guardare e lodare la nicchia e a darsi gran pacche sulle spalle sorridendo tronfi per “i grandi successi della ricerca italiana”. Dimenticando tutta la merda intorno.

Ma la merda è merda e merda rimane. E le Università italiane sono vecchi, miserrimi baracconi fatiscenti e disorganizzati nei quali si vivacchia con il piccolo, modesto cabotaggio della ricerca di retroguardia. Tuguri in cui, anche per comprare un semplice scanner da tavolo, bisogna subire le angherìe di una burocrazia demenziale e la tirchieria di politici miopi e cialtroni. Postacci dove gli studenti sprecano giornate nella lotta contro l’inefficienza e l’ignavia delle segreterie: roba che a Sisifo gli fa le pippe.

Se l’eccellenza scientifica c’è, è perché gli scienziati italiani lavorano in collaborazione con istituti e centri di ricerca stranieri, dove sono ben contenti di accoglierli, vezzeggiarli, coccolarli. Già, perché gli scienziati italiani sono gente coi cazzi e i controcazzi: un patrimonio umano che il Paese scialacqua regalandolo all’universo mondo, che non chiede di meglio che di poter accogliere tutto quel bendiddìo intellettuale.

Dice: “Che t’incazzi? Mica è il tuo Paese! Ti piace tanto la Svizzera? Stacci!”. A parte il fatto che io in un’Università italiana ci insegno, potrei dire che sì, è vero: che cazzo mi frega dell’Italia? Eppure, non so perché, ancora mi ci incazzo. Devo proprio essere coglione, va’.


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