Il 3 ottobre 1860 alle 5 del pomeriggio Vittorio Emanuele II sbarca al porto di Ancona. La città, che le truppe truppe piemontesi hanno liberato il 29 settembre, è in festa; centinaia di bandiere tricolore ornano strade e palazzi, gli anconetani, ammassati lungo il cammino del corteo reale, hanno in mano fazzoletti rossi, bianchi e verdi ed inneggiano al Re. “Al primo entrare – racconta Gaspare Finali, un uomo del seguito sabaudo – ben appariva che la città non era stata soggiogata con la forza, ma liberata dall’oppressione di armi straniere e dal giogo di un odiato governo. La popolazione in giubilo, i cittadini di ogni ordine misti a marinai e soldati, gli uni a braccetto degli altri, in festa e in allegria”. Il re, che è sulla nave “Govergnolo”, approda alla banchina Corsini e a terra viene accolto dai generali Cialdini e Fanti, dal commissario Valerio e dai componenti della giunta provvisoria con a capo il presidente Fazioli. Vittorio Emanuele II sale quindi su un cavallo bianco e, con al suo fianco il ministro Farini, procede verso Porta Pia dove passa in rassegna le truppe, poi rientra verso il centro della città e sale fino a piazza Grande (oggi piazza del Plebiscito, familiarmente conosciuta come piazza del Papa per la grande statua di Clemente XII) e nel vicino Palazzo del Governo riceve i membri del Comitato centrale di Ancona, con a capo il presidente Alessandro Orsi, anima dei patrioti marchigiani, le Deputazioni delle varie province delle Marche e dell’Umbria. Il Re saluta tutti con la simpatia e l’affabilità che erano ben note. Calata la sera ad Ancona iniziano i festeggiamenti che si protraggono per tutta la notte.
Alle lotte per la liberazione aveva partecipato solo quella che gli storici definiscono una “frazione di punta”, ma l’arrivo del sovrano viene vissuto da tutta la popolazione con grande e sincera euforia perché, come scrivono Pavia e Sori “la grande maggioranza del ‘popolo basso’ aveva condiviso quell’opera di distruzione dell’esistente regime politico. Accanto al gruppo dirigente, costituito da esponenti della borghesia agraria e mercantile, da professionisti e da numerosi aristocratici di orientamento liberale, la città nel suo insieme si apriva fiduciosa al nuovo corso, ponendo grandi speranze nella riconquistata libertà”. Osserva lo storico e giornalista Luca Guazzati “Ancona in effetti, all’indomani dell’Unità, ha parecchi assi nella manica in cui credere per il suo sviluppo e l’accresciuto prestigio”.
Vittorio Emanuele II si ferma in città per sette giorni e sceglie di abitare in collina, sull’altura di Posatora in una villetta che viene messa a disposizione dal commerciante Luigi Colonnelli. Ripreso il cammino verso sud il sovrano si ferma a Loreto dove visita la Santa Casa e l’ospedale in cui erano ricoverati i feriti della battaglia di Castelfidardo che due settimane prima aveva deciso le sorti dello scontro con lo Stato della Chiesa.
Nel dipinto qui sopra (di autore ignoto) l’ingresso del Re sul suo cavallo bianco. A destra si vede un lato della facciata del teatro delle Muse (riaperto nel 2003 dopo lunghe ed intricate vicende), il palazzo in primo piano è la residenza della famiglia Trionfi (costruita su una precendete proprietà dei conti Ferretti). Distrutto da un bombardamento durante la II Guerra Mondiale, palazzo Trionfi non esiste più, al suo posto, negli anni ‘50 è stato costruito un edificio ora sede, fra l’altro, della Rai regionale.
A domani per il seguito e molti gustosi particolari sulla settimana anconetana del Re che a quanto pare apprezzò molto e sotto tutti i punti di vista le Marche.