“… la società, l’economia, il potere si basano da duemila anni su determinati schemi, determinate religioni, determinate credenze…
“… se qualcuno le sconvolgesse ribalterebbe necessariamente certi ruoli. E se (…) qualcuno cominciasse a pensare…
“… il potere come è concepito oggi comincerebbe a vacillare. E noi non possiamo permettercelo!…
“mi sembrate stupito, Robinson. Eppure noi esistiamo da sempre. Ci conoscete con vari nomi: “i distruttori di biblioteche”, “l’inquisizione”… “gli uomini in nero”…
“…da sempre eliminiamo tutto ciò che può turbare l’ordine che ci permette di spadroneggiare. Ed è impossibile distruggerci, perché siamo dovunque…
“…in un monastero a Kalabaca o in una isoletta delle Azzorre, nella sede di una multinazionale o nella residenza di un capo di stato, qualcuno ci avverte se è stata scoperta una falla… e noi la chiudiamo.”
Si tratta di un monologo fittizio, questo è ovvio. In tanta fiction, che fossero romanzi, film, telefilm o fumetti, abbiamo visto schiere di cattivi spiegare ai buoni i loro intenti per il puro gusto di onorare un po’ e intanto l’inerme eroe trovava il modo di liberarsi e ribaltare la situazione. Il cliché è stato usato così tanto da diventare ormai ridicolo, se chi lo adopera non è capace di gestirlo bene. E di cliché ne abbiamo un altro, quello dei cattivi che sono gli “uomini in nero”, come nei cattivi dei primi film western, dove lo spettatore aveva bisogno di riferimenti immediati, chiari e precisi.
Ho tolto solo una frase che ancorava il testo a un contesto troppo preciso e limitato, là dove ci sono le parentesi tonde, e di conseguenza ho cambiato il tempo del verbo successivo altrimenti la frase non si sarebbe retta in piedi. Cambiato questo, cosa ci rimane?
Una teoria del complotto, verrebbe da dire in un primo momento, ma siamo davvero sicuri che non ci siano persone che manipolano le cose e influenzano persino le leggi per il loro tornaconto personale?
Se si sconvolgono le basi della nostra società, se iniziamo a pensare che non tutto deve essere per forza così come ci viene detto, ecco che forse la nostra società crolla. Ma un cambiamento sarebbe per forza in peggio? Pensiamo, interroghiamoci su ciò che ci circonda, su quel che ci dicono, perché forse ci vengono dette non per il nostro bene ma per il bene di chi le dice. Una per tutte il modo in cui i politici sfuggono, parlano di retorica, banalità, populismo o semplicemente ignorano l’interlocutore quando gli si chiede dei loro guadagni, o delle loro pensioni, quelle sì, anacronistiche e da modificare in toto.
Il brano che ho citato viene da un fumetto, e risale addirittura al 1982. Niente di nuovo sotto il sole, dunque. È il primo numero di Martin Mystère. il detective dell’impossibile che ha attraversato con disinvoltura più generi letterari, attualità, fantasy, fantascienza, horror, mitologia, avventura, con più di una punta di erudizione che fa capolino di tanto in tanto. Io l’ho sempre letto in modo molto saltuario, ma dopo aver letto una bella recensione di Emanuele Manco (http://www.fantasymagazine.it/fumetti/16742/martin-mystere-320-anni-30/) ho deciso di acquistare l’albo di aprile/maggio intitolato Anni ’30.
Sì, ci sono delle ingenuità in questo fumetto, e ci sono alcune scene decisamente eccessive, ma nel complesso Alfredo Castelli e Giancarlo Alessandrini hanno fatto un ottimo lavoro. Tanti auguri, Buon Vecchio Zio Marty!