Palermo, una tiepida mattina di primavera. Rosario guida la Fiat 131. Pio è lì con lui, seduto; legge delle carte. Rosario imbocca via Turba, un “budello” dove ci si passa appena, vicino alla federazione del PCI, dove sono diretti. Ogni volta che imbocca quella via Rosario prova uno strano senso d’inquietudine. “E’ una via che sembra fatta apposta per un agguato”, ha detto un giorno, ridendoci su.
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La Fiat 131 si ferma, proprio di fronte alla caserma Sole. Due moto s’affiancono, partono dei colpi. Pio muore, poi tocca a Rosario. Il sangue sciviola lento, dall’auto al selciato, in quel budello che è via Turba, a due passi dalla federazione del Pci. Rosso come le bandiere che s’intravedono danzare nel vento.
(tratto da Giornalettismo)
Il 30 aprile 1982, a Palermo, veniva ucciso Pio La Torre, esponente di spicco del PCI siciliano. Con lui moriva anche Rosario Di Salvo, anch’egli impegnato in politica nel Partito Comunista. Quando l’antipolitica grillina arriva a dire che la ‘la mafia non ha mai strangolato i suoi clienti, si limita a prendere il pizzo’ è ancora piu importante ricordare quelli che hanno sacrificato la loro vita per difendere la ‘buona politica’.
L’attivita politica di La Torre:
Appena eletto in parlamento, nel maggio del 1972, entra a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. La commissione era stata istituita nel 1962, durante la prima guerra di mafia e pubblicò il suo rapporto finale nel 1976. La Torre, insieme al giudice Cesare Terranova, redasse, e sottoscrisse come primo firmatario, la relazione di minoranza che metteva in luce i legami tra la mafia e importanti uomini politici, in particolare della Democrazia Cristiana. Alla relazione aggiunge la proposta di legge “Disposizioni contro la mafia” tesa a integrare la legge 575/1965 e a introdurre un nuovo articolo nel codice penale: il 416 bis.
Una proposta che segna una svolta radicale nella lotta contro la criminalità mafiosa. Fino ad allora infatti il fenomeno mafioso non era riconosciuto come passibile di condanna penale. La proposta di legge La Torre prevedeva l’introduzione nel diritto penale di un nuovo articolo, il 416 bis, che introduce il reato di associazione mafiosa punibile con una pena da tre a sei anni per i membri, pena che saliva da quattro a dieci nel caso di gruppo armato. Stabiliva la decadenza per gli arrestati della possibilità di ricoprire incarichi civili e soprattutto l’obbligatoria confisca dei beni direttamente riconducibili alle attività criminali perpetrate dagli arrestati.Pio La Torre ha una grande conoscenza del fenomeno mafioso e del suo sistema di potere. È conscio delle sue trasformazioni, dalla mafia agricola e del latifondo, combattuta negli anni dell’adolescenza, alla mafia urbana e dell’edilizia che, grazie ad appalti pilotati, perpetrò, grazie alle connivenze con le dirigenze politiche locali, il cosiddetto “Sacco di Palermo”, fino alla mafia imprenditrice dedita al traffico internazionale di droga con agganci nell’alta finanza.
Non ha paura di fare chiaramente i nomi e i cognomi dei conniventi politici, famosi i suoi giudizi su Vito Ciancimino, assessore ai lavori pubblici del comune di Palermo dal 1959 al 1964 e poi sindaco del capoluogo siciliano fino al 1975. Dalla sua analisi del rapporto tra il sistema di potere mafioso e pezzi dello Stato emerge la sua convinzione che “[la] compenetrazione è avvenuta storicamente come risultato di un incontro che è stato ricercato e voluto da tutte e due le parti (mafia e potere politico)…La mafia è quindi un fenomeno di classi dirigenti”.
I responsabili dell’omocidio di La Torre e di Rosario Di Salvo:
Da quel 30 aprile sono passati trent’anni eppure solo il 12 gennaio 2007 la Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha emesso l’ultima di una serie di sentenze che ha portato a individuare in Giuseppe Lucchese, Nino Madonna, Salvatore Cucuzza, e Pino Greco, gli autori materiali dell’omicidio. Dalle rivelazioni di Cucuzza, diventato collaboratore di giustizia, è stato possibile ricostruire il quadro dei mandanti dell’agguato, identificati nei boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci. Pio La Torre era diventato “scomodo” con quella sua proposta di legge che prevedeva l’introduzione di un nuovo articolo, il 416 bis, per il reato di associazione mafiosa e che obbligava alla confisca dei beni riconducibili alle attività criminali dagli arrestati.