Si svegliò all’alba, che ancora fuori era buio. Si vestì alla cieca, cercando di non fare rumore, e prima di chiudersi la porta alle spalle, fece scivolare un pezzo di carta piegato in quattro sul tavolo di legno della cucina. Sua madre sarebbe andata dalla vicina, che aveva una figlia che sapeva leggere e scrivere, e le avrebbe chiesto di leggere la sua lettera ad alta voce. Avrebbe pianto, imprecato, e non avrebbe mai e poi mai capito. Gioventù bruciata, idee malsane, pazzia, sarebbero stati i punti fermi di un delirio che avrebbe chiamato in causa Dio, il Papa, il Re, il nonno morto, pace all’anima sua, la Madonna, e via dicendo, fino ad arrivare ai confini dell’ingiuria, della maledizione, della bestemmia. Poi, forse, si sarebbe fatta una ragione.
Camminò in fretta nel buio freddo dell’alba ligure, e pensò a Maria, che gli aveva tenuto il broncio per giorni e giorni, perché voleva far parte della spedizione, e glielo avevano impedito. Pensò alla sua pelle liscia, al suo sorriso rassicurante, e alla sua voce profonda, capace di animare mondi fatati, universi inesistenti, raccontando storie. Maria credeva moltissimo alla spedizione. Credeva nella rivoluzione popolare come unico mezzo di riscossa sociale, credeva nell’unità, nell’indipendenza, nel bisogno di una Costituzione uguale per tutti. Maria era l’unica all’altezza dell’utopia che c’era dietro quella follia di viaggio, ma era una donna, e le donne era bene che rimanessero lontane dalla rivoluzione, dai pericoli, dagli affari da uomini. Stronzate, avrebbe detto, con la sua voce tagliente, e avrebbe mostrato il bicipite gonfio, con gli occhi brucianti di orgoglio.
Arrivò a Quarto qualche ora dopo. L’accordo era di rimanere divisi per quel giorno, e incontrarsi la sera, direttamente allo scoglio da cui tutto sarebbe iniziato, simulando un furto, il furto di due navi. Era il 5 maggio 1860 e Bartolomeo Benvenuto, parrucchiere di Genova, gironzolava sbocconcellando un pezzo di focaccia con fare indifferente, in attesa di alcuni amici coi quali sarebbe partito per l’impresa più eroica che mai avrebbe potuto immaginare: fare l’Italia. Il suo amico Giovanni rideva spesso di quel suo modo di immaginare il viaggio, con occhi spalancati e pieni di visioni indicibili, e lo prendeva in giro, insinuando che dietro tutta questa passione non ci fosse altro che la volontà di farsi bello agli occhi della fidanzata. Ma Bartolomeo non lo ascoltava nemmeno, sorrideva, distoglieva lo sguardo, e rimaneva con metà del cervello agganciato alle sue fantasie perfette e appassionate.
Finalmente il momento arrivava, il tramonto era vicino, e da lontano vide i suoi amici, Giovanni e Martino, e andò verso di loro. Fu tutto un abbracciarsi pieno di sorrisi, tra tre ragazzotti quasi uomini, con poca barba sul viso, e gli occhi scintillanti di chissà quale avvenire. Rimasero un po’ così, zitti zitti, a guardarsi emozionati, e poi Bartolomeo, che era il più romantico, disse: Si fa la rivoluzione! Si fa l’Italia! E fu una mezza-voce emozionata e tremante, quasi vergognosa, come se un parrucchiere non fosse degno di pronunciare queste parole, a maggior ragione con la bocca sporca di focaccia, davanti ad un calzolaio, Giovanni, e ad un sarto, Martino.
E in effetti gli amici risero di quelle sue affermazioni astratte, e per spezzare il silenzio teso dell’incertezza chiesero: ma cos’è poi, questa Italia? Cosa ti sembra che faremo, noi tre, con gli altri?
Bartolomeo si accese ancora di più, perso in quel suo sogno visionario, e disse, scandendo bene le parole, perché non ne perdessero nemmeno una: andiamo a fare un patto con gli amici siciliani, e loro lo faranno con quelli calabresi, e da lì si stringeranno la mano coi campani, i laziali, i toscani, e via dicendo. E saranno tutte persone come noi, libere, e giovani, e innamorate, e vorranno imparare una lingua che gli permetta di essere capiti, ovunque, ma senza dimenticare ciascuno la propria personalissima lingua. E avremo la Costituzione, perché nessuno possa essere sopraffatto da chi è più potente, nemmeno la Costituzione stessa. E ci aiuteremo, quelli del Nord con quelli del Sud, i sardi coi veneti, senza distinzioni, tutti uguali, tutti felici. E le nostre donne e i nostri bambini non avranno più fame, non saranno tenuti al giogo dei sovrani, ma avremo dei capi buoni, e illuminati, e leali. E poi un nome unico, da presentare agli altri nomi, e accanto a Inghilterra, Francia e Austria, con dignità leggeremo Italia, e sarà come leggere Utopia. E avremo scuole e università per tutti, anche per i poveri, e lavoro. E saremo tutti diversi, ma tutti uguali, e tutti felici.
Disse, e aggiunse altre postille a quel suo sogno infiammato e folle. Gli altri rimasero in silenzio, incerti e inadeguati di fronte a tanta vitalità. Ebbero paura, e guardarono le navi con un brivido. Tutta quella responsabilità, e chissà quali pericoli c’erano al di là del mare. Le famiglie a casa. I loro corpi, così fragili di fronte al viaggio, alla battaglia, alla Storia. Guardarono Bartolomeo e furono tentati dal tirarsi indietro. Giovanni, nel dettaglio, pensò a cosa sarebbe successo se il potere dell’intera Italia fosse andato nelle mani di uomini indegni. Martino pensò a come avrebbe fatto Garibaldi a mantenere ordinate le rivolte che si sarebbero scatenate sicuramente nell’isola, e poi nel resto d’Italia. E dopo, cosa sarebbe successo.
Poi Bartolomeo disse ancora: e sarà così bello, qui, che vorranno venire da altri posti. E noi saremo così avanti, che li accoglieremo a braccia aperte, e nella diversità, nel confronto, nel dialogo, avremo la migliore Unità che la storia possa ricordare, un’Unità di uomini.
Martino sorrise, e ancora una volta prese in giro l’ingenuità di Bartolomeo: Ma chi vuoi che ci venga, qui? E poi come funziona? Prima li cacciamo e un giorno li accoglieremo a braccia aperte? Giovanni chiese se avevano mai visto Rose Montmasson, la compagna di Crispi, che aveva preso i primi contatti coi Siciliani, e che avrebbe preso il largo con loro. Martino rispose di no, Bartolomeo rimase in silenzio, pensando alla sua bella Maria, appassionata e coraggiosa, delusa e arrabbiata a casa, e si accigliò, spegnendo un po’ il sogno.
La notte arrivava, fresca e tranquilla, in quella notte di maggio, su un folto gruppo di uomini e una sola donna, e due navi, e un mare da attraversare. Arrivava ed era il 1860, ma qualcosa nelle stelle, nella luna tutta accesa, nel vento tiepido, qualcosa suggerì a Bartolomeo che quel momento era universale, quel momento era la storia nella Storia: un uomo coi suoi sogni invincibili, i suoi compagni, un vociare confuso, una rivoluzione da fare, una barca, il mare che sembra un compagno ma a volte è un assassino, il mare da non sfidare mai, il cielo che è una cartina geografica, una terra, dall’altra parte del mare, che speri sia clemente, una donna a casa, lasciata col broncio e chissà quando la potrai vedere di nuovo, tua madre in lacrime, e i compagni, attorno, e un vociare diffuso, e la barca che lentamente scivola sul mare, che speri sia benevolo.
Partivano, ed era il 1860, ma Bartolomeo sentì che quella era la Storia, e che altri uomini, nel mondo e nei secoli sapevano e avrebbero saputo cosa significa il viaggio verso la rivoluzione. Lo seppe anche lui, in quel momento, e sorrise. Chiuse gli occhi e pensò a Maria, per l’ultima volta.