Vi è mai capitato di leggere la definizione di una parola e associarla ad un momento, una cosa o una persona? A me è successo con toska, un interessantissimo lemma russo, che ho subito associato a un libro: 33 attimi di felicità di Ingo Schulze, edito da Feltrinelli. 33 attimi di felicità è una raccolta di racconti, brevi e brevissimi, che nel giro di poche pagine trasportano il lettore in una San Pietroburgo reale e viva, totalmente in contrasto con l’immagine romantica e sognante, che l’avido amante dei vari Tolstoj e Dostoevskij si è costruito negli anni. Apparentemente la lettura di questi racconti lascia il lettore leggermente perplesso soprattutto se, come me, si fa ingannare dalla breve sinossi in quarta di copertina. Da questa raccolta, infatti, ci si aspetterebbe leggerezza, spontaneità, malinconia e pathos, ma ci ritrova a leggere storie popolate da personaggi e azioni vuote, nostalgiche e prive di senso apparente. Schulze, nella prefazione alla raccolta, racconta di aver ricevuto questo manoscritto da un anonimo e di aver scelto di pubblicarlo non per una “considerazione di carattere materiale (...) [ma] per dare nuovo impulso all’incessante dibattito sull’importanza della felicità”. Ed è proprio la parola "felicità" a trarre d'inganno il lettore.
Personalmente la parola glück più che "felicità" l’avrei tradotta beatitudine, visto che in questi racconti di felicità non c’è traccia.
Gli attimi che colgono i nostri personaggi, infatti, analizzati da un osservatore esterno che viene identificato o come uno straniero in visita a San Pietroburgo o da un ricco e cosmopolita russo, sono la pura e semplice manifestazione della beatitudine. Il senso di vuoto che lasciano queste storie nel lettore, infatti, deriva dal fatto che nell’epifania della beatitudine si è tremendamente soli. Un osservatore esterno non potrà mai percepire il senso di pienezza e soddisfazione del “beato”, anzi all’esterno ogni suo gesto e ogni sua azione apparirà come grottesca o fuori luogo.Per come l’ho letto io, quindi, in questa raccolta più che raccontarci della “felicità” Schulze ci vuole parlare della “beatitudine”, che sceglie di rappresentare in modo originale ed estremamente poetico: mettendo in scena la “toska”. Lo scrittore, infatti, ha pienamente saputo riprodurre quel sentimento di nostalgia e vaga inquietudine che non solo coglie quando lo stato di beatitudine ci abbandona, ma che arriva e ci assale quando, sulla soglia della vita, capita di osservare uomini beati e persi.Alla prossimaDiana