31 gennaio 2013
L’album fu pubblicato nel 1970 e fu il secondo concept realizzato dal cantante genovese dopo Tutti morimmo a stento del 1968. Pubblicato nello stesso anno poco prima dell’album è il famosissimo brano Il pescatore che in un modo o nell’altro riprende i discorsi già iniziati in canzoni come Si chiamava Gesù e Spiritual e ci lega all’opera in analisi.
E’ un tipo di concept che racconta una storia, in questo caso la storia è narrata dal più grande bestseller della storia: la storia di Gesù di Nazareth.
La sua versione musicale però si rifà a una versione meno conosciuta: i vangeli apocrifi, in particolare trae spunto prevalentemente dal protovangelo di Giacomo. “Apocrifo” significa letteralmente nascosto, spesso tuttavia con questo termine si intende “falso”. Gli Apocrifi si oppongono ai canonici: i quattro presenti nel nuovo testamento e attribuiti ai quattro evangelisti. Nonostante l’atteggiamento della Chiesa risulta spesso derisorio nei confronti di questi vangeli, molte tradizioni relative ai nomi dei re Magi, dei ladroni alla destra e alla sinistra di Gesù, e a quelli dei genitori di Maria vengono proprio da lì!
Ciò che probabilmente si nasconde dietro questo atteggiamento è il modo in cui questi vangeli trattano la figura di Cristo. Poiché questo modo di vedere coincide con quello di de Andrè, non c’è da meravigliarsi se nel raccontare la sua versione si basi proprio su questi vangeli.
Potremmo sintetizzare brevemente questa disputa con: umanità e divinità di Gesù, dove se gli apocrifi si spostano verso la prima, i canonici puntano alla seconda. Questo concetto si può dire che fa da cornice all’intero album: la prima traccia, Laudate dominum, si apre in maniera solenne con i suoi organi che danno l’impressione di quella religiosità severa e rigida. Lo stesso coro che ripete le stesse due parole latine fino a farle sfumare crea un effetto straniante.
In un modo o nell’altro è come se de Andrè partisse dalla visione comune della solita storia per poi cominciare la sua; una volta finite di raccontare le vicende, il disco si chiude con la traccia conclusiva che si apre come la prima dell’album, ma prosegue spiegando la visione del cantautore.
All’interno di questa cornice si struttura l’intero album.
Una caratteristica ricorrente in tutto l’album è il punto di vista: il protagonista della storia non è mai nominato, inoltre lo si osserva sempre dagli occhi di altri personaggi. Ciononostante è presente in quasi tutte le canzoni.
La Buona Novella può essere considerata nelle sue due metà in cui in passato gli lp si presentavano.
Cominciamo con il lato A.
Il lato A ha come tematica la nascita. La prima canzone dopo quella d’introduzione è L’infanzia di Maria.
Vestita e donata ai sacerdoti del tempio dai genitori ( primo abbandono), comincia il suo si remissivo a Dio e quindi la sua totale obbedienza.Un Dio che non la lascerà mai sola (l’angelo che le “racconta le ore”).
Ma quando diventerà sessualmente matura sarà nuovamente abbandonata (seconda volta) questa volta dai sacerdoti ,tirando a sorte per trovarle marito.
Affidata a Giuseppe viene abbandonata per la terza volta per motivi di lavoro.
Molti sono i temi che si potrebbero approfondire… sicuramente l’abbandono inteso sotto vari punti di vista (abbandonarsi e essere abbandonati) è uno di questi, e di conseguenza la fede e l’obbedienza.
In questo brano si delineano molti più argomenti di quanto possa sembrare: il personaggio di Maria si rivela essere il vero protagonista dell’album, esso infatti viene analizzato nei momenti più toccanti della sua vita; anche il personaggio di Giuseppe ha la sua importanza, e nonostante il brano successivo lo veda come protagonista, già in questo viene presentato come padre stanco e vecchio; più che marito considera la fanciulla affidatagli una figlia in più in aggiunta ai suoi altri. Infine vi sono i sacerdoti; essi abbandonano Maria a una folla di uomini senza moglie, la stessa folla che molti anni dopo aizzeranno contro il figlio per crocifiggerlo.
Ci sarebbe sicuramente moltissimo altro da dire, ma mi si potrebbe far notare che sono alla prima canzone effettiva quindi credo sia meglio proseguire con il brano successivo.
Tra questo e il precedente vi è un’ellissi di quattro anni durante i quali Giuseppe si allontana per affari.
La canzone parla de Il ritorno di Giuseppe, e del suo viaggio nel deserto. C’è da notare che sel’infanzia di maria comincia di mattina, questa comincia al tramonto, il che è ovviamente un fattore che accomuna le canzoni e che confronta l’infanzia con la vecchiaia.
La poesia del testo è molto forte e la figura di Giuseppe sull’asino sembra fondersi con l’immagine del deserto. De André è molto descrittivo e ogni particolare aggiunge una particolarità del carattere. Un esempio è la bambola che stringe nella mano: è fatta in legno (molto probabilmente costruita da lui), ed è un regalo per Maria, come per voler restituire l’infanzia toltale dai sacerdoti. E’ un contributo che il cantautore dà, infatti non è presente in nessun vangelo, ma è un espediente molto significativo che mostra che nonostante siano passati quattro anni, il pensiero è diretto a lei; arrivato a casa Maria gli corre incontro ad abbracciarlo, mostrando che i sentimenti di Giuseppe sono corrisposti.
Qui c’è un colpo di scena, e non mi stancherò mai di dirlo: De André ha una capacità di trattare di argomenti complessi con una maestria assoluta. Da un abbraccio che non permette alle braccia di congiungersi alle spalle, si scopre che Maria aspetta un bambino. Allo sguardo perplesso di Giuseppe lei gli parla di un sogno inquieto di un passato prossimo.
Giungiamo quindi con un flashback alla canzone successiva che tratta de Il sogno di Maria. Si tratta di un brano molto complesso sia per il tema che per il linguaggio. Personalmente non sopporto chi ascoltando un cantautore se ne esce con frasi del tipo “che poeta”, perché si tratta di due figure troppo diverse. Tra l’altro è come mettere la figura del poeta al di sopra di quella del cantautore, il che è un atteggiamento superficiale. Tuttavia non si può considerare questa canzone semplicemente come tale, la poeticità è un qualcosa che si aggiunge alla bellezza della canzone dandole più rilievo. Il tema del concepimento di Maria è un tema davvero complicato da trattare: la vergine madre è uno dei più complessi misteri della fede e esistono numerose interpretazioni. Non si capisce De Andrè quale sceglie, ascoltando la canzone sono molte le domande che ci si pone: l’angelo è in realtà un uomo giovane o un’entità non umana? Cosa intende il cantautore con “contava una vertebra della mia schiena”? E soprattutto visto che “forse era sogno, ma sogno non era”, dal momento che tra le scene descritte vi è un volo e una trasformazione, come bisogna considerare l’episodio descritto? Va interpretato il tutto come un’allegoria? C’è un sonno che termina a un certo punto?
Ricompaiono i sacerdoti, questa volta risultano figure decisamente più cupe e rappresentano un interruzione del sogno che con l’intervento dell’angelo riesce a essere superata.
Al termine della canzone si ritorna alla scena con cui terminava Il ritorno di Giuseppe, anche il ritmo e la tonalità sono gli stessi. C’è dunque un lieto fine: Giuseppe si rivela comprensivo. Anche qui non ci è dato di capire in che modo reagisce alla storia, come d’altronde non abbiamo capito quale sia la vera storia del sogno. La grande abilità di De André sta proprio in questo: l’aver parlato di un tema tanto complesso senza negare nessuna delle possibili ipotesi e portare in ogni caso l’ascoltatore verso i personaggi perché umani e non divini.
Con Ave Maria termina il lato A. La canzone comincia dopo un’altra ellissi, questa volta implicita, che salta i mesi restanti di attesa per giungere al momento più atteso: il parto. In questa canzone ci si aspetterebbe un cambio di protagonista, alla fine il vero protagonista è proprio Gesù. Invece Faber fa un elogio della maternità, del miracolo della natura, della meraviglia di divenire madre, indifferentemente se si diventerà madri di uomini umili, ricchi o di un messia.
Ciò che rende tutta questa prima parte ancora più omogenea è la scelta del tempo: nonostante si svolga in almeno quattordici anni la scelta dei tempi fa sembrare la narrazione molto più breve. Mi spiego meglio: L’infanzia di Maria comincia “all’ora terza o forse alla nona” quindi tra le 9 e le 3, Il ritorno di Giuseppe al tramonto, mentre Il sogno di Maria è ambientata di sera… per il modo in cui sono narrate sembra che il tutto sia accaduto in un giorno, e dopo una lunga notte giunge Ave Maria come l’alba (che poi è simbolo della nascita).
C’è una tale fusione tra ambienti tempo e personaggi che è difficile non valutare questo concept, più degli altri, come un lavoro che va considerato nella sua interezza (e non per i brani singoli).
Il lato B tratta di tematiche contrastanti, tra le più rilevanti c’è la morte, in netta opposizione alla prima parte.
Le tonalità sono decisamente più crude, talvolta violente e danno una sensazione cupa e di ansia. La musica sembra assumere spesso il ruolo delle parole, e nel primo brano questa caratteristica è decisamente evidente.
E’ in fatti con un suono basso, che l’armoniosa atmosfera creata nel brano precedente crolla, cade letteralmente a pezzi come una tavoletta di pietra colpita da un colpo secco di un martello, e di fatti è l’idea di questo strumento che il suono suggerisce, un martello che risuona nella città e incupisce. Ancora una volta il personaggio principale è Maria che angosciata dal suono pulsante domanda al falegname cosa costruisce.
Maria nella bottega del falegname crea angoscia, e nonostante le canzoni che seguiranno non saranno da meno, questa in particolare è straziante perché non dà neanche il tempo di respirare, non inizia con una sfumatura bassa che va man mano alzandosi, o altri effetti simili che darebbero all’ascoltatore il tempo di inserirsi nella canzone. E’ in tutti i sensi una canzone che sfrutta i contrasti.
A livello metrico è strutturata in sei strofe che alternano le voci rispettivamente di Maria, del Falegname e della gente per due volte nello stesso ordine.
La canzone è un vero e proprio dialogo tra Maria e il falegname, e sapere che non si tratta né di Giuseppe né di Gesù lascia presagire poco di buono: infatti ciò che l’uomo sta costruendo sono le tre croci, una delle quali servirà a uccidere il figlio. Non riesco a scrivere e a non esserne coinvolto emotivamente, spesso mi capita di ascoltare la prima parte dell’album e fermarmi ad Ave Maria, perché non c’è bisogno di essere madre per poter assorbire quel dolore che Maria prova nel ricevere quella risposta, soprattutto perché per noi Gesù è ancora un bambino appena nato.
Il colpo che infligge questa canzone è così forte che solo dopo si nota che de André ha saltato completamente tutti gli insegnamenti e la vita di Gesù. In realtà essi ci sono in ogni canzone, ma in maniera meno chiara, come può esserla una parabola, ma decisamente più toccante, come può esserlo una poesia.
In questa canzone insieme alla morte che è un tema molto ricorrente nei testi di Faber, c’è la guerra. Come detto prima, de André inserisce gli insegnamenti di Cristo nelle canzoni. In questo caso infatti il falegname è consapevole di colui al quale costruisce la croce poiché quando Maria gli domanda se si tratta di stampelle per supportare chi ritornò dalla guerra senza poter più utilizzare le gambe il falegname risponde:
“Mio martello non colpisce,
pialla mia non taglia
per foggiare gambe nuove
a chi le offrì in battaglia,
ma tre croci, due per chi
disertò per rubare,
la più grande per chi guerra
insegnò a disertare”.
Potrebbe sembrare che il falegname sia la figura negativa di questo brano, ma in realtà egli è più uno strumento che altro, e a giudicare dalle risposte che dà alla madre disperata è anche triste del lavoro che gli hanno commissionato.
Con la strofa finale si può notare il collegamento con la canzone successiva; si parla infatti di due gruppi: chi si prepara a soffrire e chi si prepara a far soffrire.
Via della croce mostra finalmente il protagonista di tutte le vicende; la scena perde l’atmosfera di ansia che la canzone precedente aveva introdotto e giunge alla conclusione della storia. Gesù procede sul Calvario con la croce che lo terminerà, e il corpo completamente coperto di ferite. Ai suoi occhi si mostrano gli altri, strofa per strofa ogni gruppo ricorda una scena passata. Proprio come per il brano precedente, Faber mostra gli episodi accaduti nei trentatré anni che scorrono tra il lato A e il lato B del disco. La prima vicenda è quella dell’omicidio di tutti i bambini maschi ordinato da Erode per eliminare la minaccia del Salvatore-re. Nella strofa iniziale ci sono i padri di quei neonati che guardano la causa della loro sofferenza come per volerla essere restituita.
La seconda strofa presenta agli occhi del Cristo morente le vedove che nascondono con veli le loro sofferenze, e ancora una volta c’è un riferimento a un episodio precedente, in questo caso quello di Maddalena.
Nella terza de André descrive gli apostoli che si nascondono nella folla e che sono sopraffatti dalla paura a tal punto da non avere il coraggio di salutare colui che negli ultimi anni è stato il loro Maestro. La scena questa volta volge al futuro dando loro un riscatto e mostrando come dopo questa debolezza si fossero riusciti a riprendere diffondendo la buona novella in ogni dove.
L’ultima strofa è dedicata agli spettatori più vicini: Tito e Dimaco, i due ladroni che vengono crocifissi con Gesù. Solo le madri di questi piangono la loro morte.
Nelle canzoni che seguono de André mostra ancora una volta di voler andar fuori dagli schemi parlando di argomento sottolineando aspetti che non vengono affrontati nei Vangeli, o che in ogni caso passano in secondo piano perché la scena della crocifissione e della morte di Gesù fa ombra su tutto il resto.
Via della croce è l’unica canzone che vede Gesù come protagonista, e come tutte le altre non lo nomina. Con l’ultima strofa, Faber suggerisce gli argomenti delle due canzoni successive.
Tre madri porta la tensione cominciata con l’inizio del lato B in punti sempre più alti. Essa si presenta come un dialogo tra Maria e le madri dei due ladroni. Queste infatti le chiedono di lasciare a loro il dolore della perdita del figlio, perdita che nel suo caso, tre giorni dopo, sarebbe conclusa con la risurrezione.
Ma Maria mostra quanto è umana la sua perdita e quanto è forte la sua sofferenza. Non posso parlare troppo della canzone perché potrei scrivere altre mille parole e lo stesso non riuscirei a trasmettere quelle emozioni…de André con 145 parole è riuscito a trattare di argomenti così forti che l’unico modo per comprenderle è ascoltarle dalla sua voce senza ulteriori aggiunte.
Si giunge all’apice della vicenda: la crocifissione e la morte, ancora una volta il riflettore di Faber si concentra su episodi meno comuni per trattare diversamente la storia già ascoltata migliaia di volte nello stesso modo. Il protagonista, come il titolo fa capire è il ladrone “buono”.
Il testamento di Tito può essere considerata sotto vari aspetti. Si tratta degli ultimi minuti di vita del personaggio che rivedendo il Decalogo fa un’analisi della sua vita, quasi come fosse una confessione, ma può anche essere vista come una dissacrazione dei comandamenti divini in quanto scritti da una classe privilegiata a sfavore dei meno abbienti, completamente lontani dall’obiettivo preposto di essere “divini”, e ancora si possono vedere i riferimenti che Faber fa alle leggi in senso generale, per potersi ricollegare alle ragioni delle rivolte sessantottine. Il brano è tra i più famosi, in un modo o nell’altro ometterò molte cose per evitare che un’eccessiva focalizzazione sulla canzone possa far perdere il quadro di insieme che questa recensione vuole essere. Riprenderò dunque il decalogo, comandamento per comandamento, e spiegherò grossolanamente come De André lo confuta.
1. Non avrai altro Dio all’infuori di me
De André mostra come l’interpretazione di questo comandamento porti il mondo cristiano a considerare false -e nell’utilizzare tale aggettivo mi sono mantenuto- le altre dottrine religiose, e mostra come questo atteggiamento non esiste da parte degli “altri” che rispettano il cristianesimo e Cristo e spiegano che dopo tutto lo si può chiamare in diversi modi, ma la divinità è unica in tutto il mondo.
2. Non nominare il nome di Dio invano
Qui la critica è fondata sul fatto che nonostante lo si invochi o si pronuncino bestemmie, è come se Dio se ne stesse sempre al suo posto, senza impicciarsi degli affari degli uomini.
3 (4) Onora il padre e la madre
Prima delle tre inversioni di ordine. Tito si domanda se è giusto onorare i propri genitori anche quando questi non meritano nessun tipo di onore a causa dei loro comportamenti, in questo caso la violenza eccessiva e insensata.
4 (3) Ricorda di santificare le feste
F. spiega quanto sia troppo semplice rispettare questo comandamento senza farlo davvero; il rispettare le festività crea una certa rispettabilità della persona e la aiuta a placare la propria coscienza.
5 (7) Non rubare
Seconda delle inversioni, questa ancora più della precedente è significativa poiché insieme a non uccidere rappresenta causa e conseguenza delle azioni sbagliate di Tito, inoltre sono gli unici comandamenti che vengono associati al loro numero (tra l’altro errato o meglio invertito).
Tito è descritto come ladrone, ma parlando di questo comandamento spiega che si tratta dell’unico che probabilmente ha rispettato, spiega cioè che sono gli sfruttatori, e non le loro vittime, ad essere i veri ladri. Mi viene in mente una frase di un’altra canzone dello stesso cantautore: ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame (“Nella mia ora di libertà”- Storia di un impiegato). Vengono fuori gli stessi due temi, d’altronde De André stesso ci ricorda che ha sempre avuto poche idee, ma in compenso fisse.
6 Non commettere atti impuri
Riflette su come l’avere rapporti sessuali solo per procreare si tratti di una legge che contrasta la natura umana stessa. Tito preferisce infrangerla se facendolo può evitare di far venire al mondo bambini che poi sarebbero morti di fame, e nel farlo preferisce confondere piacere e amore.
7 (5) Non uccidere
Questo comandamento lo rivolta contro chi in quel momento lo sta ammazzando, e quindi volge lo sguardo verso Gesù, e chiede ancora come è possibile che venga ucciso insieme a due ladri.
8 Non dire falsa testimonianza
Si collega alla precedente, e si rivolge nuovamente a chi ha accusato Gesù con menzogne facendosi portavoce del diritto divino, dimenticando il perdono. Quindi torna ad analizzare se stesso, e non si mostra pentito delle false spergiure fatte in vita.
9-10 (10-9) Non desiderare la roba degli altri – Non desiderare la donna degli altri
Terza inversione, forse la meno significativa. Affinché la canzone contenga esattamente dieci strofe, De André unisce gli ultimi due comandamenti per lasciarsi una strofa per concludere. Tra l’altro i concetti espressi negli ultimi due comandamenti sono molto simili e Tito li smonta spiegando che si tratta di una legge che non punisce in alcun modo chi ha disponibilità economiche e che danneggia doppiamente il povero che non solo è povero, ma non può neanche desiderare di possedere qualcosa. Ma in fin dei conti ogni ricchezza o donna sono beni terreni, e Tito al momento della morte non può che invidiare la vita in chi lo guarda spasimare gli ultimi respiri.
La strofa conclusiva riprende il nuovo testamento, e l’episodio in cui viene domandato a Cristo quale fosse il comandamento più importante, e la sua risposta che semplifica l’essenza del decalogo spoglia dei vincoli del potere (Matteo 22, 34-40 ): non si tratta più di un elenco di “non devi” ma di un semplice invito all’amore.
Ed è questo che rende Tito il “ladrone buono”, il comprendere che alla fine ciò che davvero conta è amare.
Con Laudate Hominem si chiude l’album. Il brano, come già detto, fa da cornice insieme al primo di apertura. I due brani hanno un titolo simile ma significativamente diverso, e il primo è contenuto nel secondo.
Esso è strutturato in tre strofe nelle quali De André scompare come voce narrante e lascia lo spazio a un coro. Il concetto che viene spiegato è come Gesù che viene ucciso poiché uomo che si proclama Dio, viene poi riconosciuto come tale e come altri uomini, nel nome della divinità attribuitagli ne uccidono altri, come se il sacrificio in croce non fosse servito a nulla, poiché alla fine la storia si ripete. E’ nel ritornello che De André mostra tutto il succo dell’album, è in quelle tre parole che cambiano attraverso una climax ascendente che De André manda il suo messaggio:
non posso pensarti figlio di Dio…
non voglio pensarti figlio di Dio…
non devo pensarti figlio di Dio…
La grandezza di Cristo sta nel suo essere un uomo e di aver avuto un amore che va oltre l’umano (vd. Si chiamava Gesù), il suo aver stravolto il mondo senza compiere nessun atto violento, nel suo essere stato il più grande rivoluzionario della storia. Ecco il messaggio ai suoi fratelli sessantottini, un messaggio di una rivoluzione che si ispiri a chi da solo ha fatto così tanto, il messaggio di una rivoluzione che si intenda come necessaria per il risanamento del mondo, come una guerra necessaria per la pace (da non confondere con la guerra di pace).
Qui di seguito condivido un video tratto da un concerto del ’98 (meno di un anno prima della morte) nel quale ricava una nicchia e la dedica al lavoro compiuto in questo concept. Inutile dire che il discorso che fa prima che le canzoni comincino è il vero significato che aleggia intorno a questo album, rispetto a questo fiume di parole che ho scritto fin’ora!
[.]