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Creato il 16 marzo 2011 da Eraserhead
4Una descrizione (il massimo che sono riuscito).
Non è compito facile quello di scrivere qualcosa su un film come Chetyre (2005).
L’unico paragone possibile che mi viene da fare è quello con i lavori dell’ungherese György Pálfi, scoppiettanti esempi di cinema oltre, tracimanti e allo stesso tempo imperfetti, accorate manifestazioni di arte a volte aldilà di ogni significato. Prendete questa matrice di fondo dunque, e unitela all’influenza della scuola russa (Tarkovsky è la fonte a cui abbeverarsi) che pervade ogni fotogramma di questo film.
A tal proposito è utile citare le parole del mio collega blogger J. Doinel (link) che nonostante siano collegate ad un’altra pellicola sovietica non travisano il senso di ciò che mi preme esprimere:
Il cinema russo ha una poetica inconfondibile e che non tutti sanno cogliere. Spesso si viene spaventati dalla sua lentezza o addirittura dalla semplicità quotidiana di quello che racconta, tanto che i più scettici tendono a confondere questo aspetto con la banalità. Spesso chi ama questi film viene anche giudicato male, pensando davvero che chi si addentra a queste visioni lo fa solo per una maniacale ricercatezza di singolarità eruditiva. Il problema è che chi pensa ciò dovrebbe cominciare a smettere di guardare film, perché è proprio alla base di quelli che possono essere difetti che il cinema russo attraverso i silenzi, la dilatazione e la ripetizione riesce a cogliere le sfumature più profonde che ci avvicinano alla più intima e originaria essenza dell'umano.4Ma a tale capacità di cogliere, o almeno di provare a farlo, il senso di questa strana cosa che chiamiamo vita senza enfatizzazioni, ostentazioni e facili sentimentalismi, il regista Ilya Khrjanovsky vi affianca un registro in bilico fra fantascienza e grottesco, rendendo così bipartita la forma dell’opera: da una parte abbiamo il substrato squisitamente russo, dall’altra persiste una condizione di inestricabilità che avvolge il film in un’enigmatica spirale.
Ma cosa racconta 4? Qual è il suo filo conduttore?
Beh, ad una fedele ricostruzione dei fatti posso dirvi che escluso un breve incipit di presentazione, la mezz’ora successiva è costituita da un dialogo a tre all’interno di un bar a sfondo nero nel quale due uomini e una donna di nome Marina discutono sui propri lavori. Salta fuori che Marina si occupa di pubblicità ed è lì lì per commercializzare un prodotto in grado di eliminare la stanchezza sul lavoro, mentre gli altri due sarebbero uno un funzionario del Presidente, e l’altro uno scienziato coinvolto in un segretissimo progetto di clonazione che non si pone l’obiettivo di duplicare, bensì di quadruplicare le persone.
In questo segmento la mdp è statica e tutto si gioca su una messa in serie che alterna i vari campi rendendo il bar simile a quel famoso quadro di Edward Hopper.
Abbandonato il locale la narrazione si concentra prevalentemente su Marina con qualche parentesi riservata agli altri due. Si intuisce che ciò che i tre si sono detti al bancone non corrisponde a verità: uno pare non essere uno scienziato ma un musicista ricercato dalla polizia, l’altro un semplice venditore di carne, e Marina una ragazza che si reca in un villaggio disperso per presenziare il funerale di una sorella morta.4Da qui in poi la pellicola è profondamente russa (ed anche sottilmente inquietante) nelle sue ambientazioni – una specie di fattoria imbrattata dal fango abitata da vecchiacce strafatte di vodka –, ma non nello stile poiché le riprese si fanno concitate con un uso massiccio della camera a spalla. Qui la ragazza trova altre due sorelle praticamente identiche a lei con le quali soggiorna nelle baracche. Tra tavole imbandite che mi hanno ricordato quelle di Seven Invisible Men (2005), bambole di pezza senza più un creatore, e vecchie ubriache che mostrano le tette, le tre sorelle sembrano soffrire questa stramba comunità. Nell’excipit, infine, vengono reinseriti brevemente i due uomini del bar. Poi il canto di una donna anziana sancisce la conclusione.
Alcuni commenti in rete interpretano 4 attraverso una chiave socio-politica; la Russia del nostro tempo sarebbe un paese senza più certezze (non che noi siamo messi tanto meglio) dove “il davanti” è sempre una labile facciata che nasconde dietro qualcos’altro, e penso ad esempio al tizio che si mette a vendere della carne chiusa per più di vent’anni nella cella frigorifera.
Ogni atto ermeneutico è legittimo di fronte a questo lavoro pressoché indecifrabile. Chi scrive non ci ha nemmeno provato, ma ha voluto ugualmente parlarne perché i discorsi intorno a un film sono inesauribili al pari dell’amore che si ha nei confronti della settima arte, al quale 4 si iscrive comunque doverosamente, con la necessità di altri sguardi. I vostri.4

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