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A non essere pignoli il film vincitore della Palma d’Oro dispiega le sue intenzioni con la stessa freddezza di un anatomopatologo chinato sul tavolo autoptico. Il j’accuse di Mungiu è quello di un uomo, di un cittadino rumeno, che rimette a distanza di anni (la storia è ambientata poco prima della morte di Ceauşescu) il bolo politico ovviamente mai digerito, sicché la storia dell’aborto squaderna tutta una serie di piccoli e concatenati inferni riconducibili all’egemonia autoritaria che mai verrà nominata o presa in considerazione e che ciò nonostante sembra sempre lì in agguato come se l’occhio panottico del regime assumesse per Otilia di volta in volta forme diverse: i controllori sull’autobus, la presenza dei militari nell’hotel del misfatto, i cani che sbucano dall’oscurità in quella che probabilmente è la migliore scena del film nonché il manifesto programmatico di un movimento artistico, insomma i segnali di un sistema invisibile ma opprimente sono crudeli e tangibili e si riversano sulle persone che maneggiano un potere, piccolo o grande non ha importanza: lo si intende sia negli atteggiamenti scontrosi delle receptionist sia in quelli del signor Bebe che da figura salvifica si tramuta nel giro di poche battute in un infimo ricattatore che accetta di correre rischi altissimi (tipo l’accusa d’omicidio) per una banale, frettolosa, triste scopata. Proprio la lunga scena con il “dottore” dentro la stanza d’albergo acquista ancora più valore se rapportata alla scena successiva che ne segna, tramite un acceso contrasto, la sua prosecuzione: qui una tavola di commensali veri dottori che disquisisce su futilità varie (emergenza doppiaggio: plausibile che in questo pingpong vocale l’italiano abbia appiattito di brutto i dialoghi originali) riallaccia la tensione appena vis(su)ta, parla indirettamente allo spettatore dicendogli di una fastidiosa supponenza della classe abbiente, colora di nero la discrepanza tra l’immagine dell’aborto appena avvenuto e la festa di compleanno della mamma con annessa riunione parentale, aliena completamente Otilia che posta capotavola da Mungiu si trova in realtà ancora nell’alloggio.
C’è potenza nel girato di Mungiu, rabbia generata da un precipitato storico che non smette mai di bussare alla coscienza di chi c’era in quel preciso periodo, in più, come era prevedibile, il tema dell’aborto volontario tira a sé gli eterni ed etici interrogativi riguardanti la gravidanza interrotta intenzionalmente, resta però aperto ed irrisolto il nesso tra le due donne che purtroppo frena il popò di potenziale costruitogli attorno.
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