Magazine Horror
Epitaphdi Prisca TurazziCreatura: Banshee
I
Brian sentì uno strillo.Seguirono subito le risate dei bambini. Dovevano aver fatto uno scherzo alla madre, nonostante l’ora tarda. Una scarica di passi attraversò il soffitto dello studio. Alzò gli occhi nel momento in cui risuonò la camminata decisa di Loreena. Altre risate malcelate, i rimproveri esasperati della moglie. Brian sorrise fra sé e tornò alla calcolatrice e ai conti della famiglia. Ora che il padre era morto, doveva provvedere a risanare i debiti. Avevano ereditato una buona rendita, non sarebbe stato un problema.La porta dello studio si aprì, Loreena si sporse dalla soglia.«Vieni a dormire. Domani è un giorno importante» lo pregò con voce stanca ma entusiasta. Gli occhi nocciola sembrarono persino brillare dalla commozione. Brian annuì, condividendo la gioia: il battesimo del piccolo Alan. Loreena sorrise. «Ti aspetto a letto.» Uscì e si chiuse la porta alle spalle.Brian appoggiò i gomiti al piano della scrivania e intrecciò le dita, accostandole al mento. Si ritrovò a sospirare, mentre provava a immaginare il giorno successivo. Non l’avrebbe perso per alcuna ragione al mondo. Un lamento proruppe. Brian sentì un brivido scorrere lungo la schiena, conosceva quella nota acuta. Lorelei era tornata. Si alzò, aggirò la poltrona e con uno strattone scostò le pesanti tende. Tra gli alberi del giardino si era insinuata la nebbia. La luna gibbosa crescente illuminava d’azzurro le fronde e le gocce sospese. Distinse uno sbuffo, che vorticò verso la veranda su cui era affacciato. La nuvola si contorse, s’attorcigliò e un volto pallido emerse.Occhi iniettati di sangue e dalle palpebre gonfie si ersero dal terreno. La nebbia scivolò e rivelò lunghi capelli rossi, una veste verde e una spilla dorata che tratteneva i lembi di un mantello sotto il mento. La banshee si portò le mani al petto e il suo sguardo indugiò su Brian. Solo il vetro li separava.Lacrime presero a rigare le guance di Lorelei. Brian s’indicò, sentendo il cuore stringersi in una morsa. Lei annuì, il volto si contrasse in una smorfia di dolore. Chinò il capo, dalla gola spettrale emerse il secondo lamento.Brian sentì il respiro spezzarsi. Si aggrappò all’intelaiatura della portafinestra. «Per amor della nostra famiglia», esclamò, «rivelami la sorte».Lorelei rialzò lo sguardo, sembrò sorpresa. Si avvicinò al vetro e fissò Brian. Il respiro appannava la superficie trasparente; quindi schiuse le labbra e schioccò la lingua contro il palato tre volte.Brian inghiottì a vuoto. La banshee pianse un’ultima volta e si accasciò a terra. Si aggrappò al vetro, le unghie striderono finché non scomparvero anch’esse nella nebbia. La nube si lasciò cadere a terra, come una pioggia primaverile.
«Siete sicuro?» gli chiese il signor McCornac, mentre si stringevano la mano sull’uscio dell’ufficio. Brian sospirò, si rimise in testa il berretto.«Abbiate cura del mio testamento, la prego» disse. Il notaio annuì con gravità e gli lanciò un’occhiata, a disagio. Brian accennò un saluto con il capo e si volse. Scese le scale. La domestica aveva aperto la porta e lo attendeva con sguardo basso e mani congiunte. «Buona giornata» lo salutò.Brian non le rispose e la oltrepassò, scendendo poi sul marciapiede. La porta si chiuse alle spalle. Sentendosi sempre più afflitto, si avvicinò a una carrozza ferma a lato della carreggiata. Il cocchiere masticava tabacco.«Alla cattedrale di Saint Mary, per favore» ordinò e salì sulla carrozza. Si abbandonò sulla panchina di legno, appoggiò la nuca alla parete e serrò la mascella. Faticava ancora ad accettare di dover morire a soli ventidue anni. La carrozza sobbalzò quando il cocchiere salì. In contemporanea con lo schioccò delle redini, sentì il richiamo dell’uomo. Artigliò la panchina: aveva sentito tre schiocchi di lingua. Proprio come aveva anticipato la banshee. Dunque, non sarebbe sopravvissuto al viaggio, non sarebbe arrivato per il battesimo.Brian digrignò i denti. Frugò nella tasca del cappotto, mentre gridava: «Si fermi!».La carrozza si bloccò con uno strattone, Brian si gettò in strada. Mise qualche moneta nelle mani del cocchiere e tornò sul marciapiede. Prese a camminare in direzione della cattedrale, la mente sconvolta da quanto aveva appena vissuto. Scacciò qualsiasi pensiero al proposito. Non poteva morire prima del battesimo di suo figlio. Ne aveva il diritto.
II
Si strinse la vestaglia. La vista si era ormai abituata al buio. «Brian» lo chiamò Loreena, preoccupata.«Va’ a letto. Ti raggiungo subito» disse Brian con tono freddo. Aveva paura, temeva la reazione della banshee. Eppure, nel cuore, sapeva di non avere colpe. Aveva chiesto solo un giorno in più, un giorno dedicato al figlio. Sentì la moglie sospirare e rientrare nello studio. Attese finché la porta si chiuse. Si voltò, l’animo appesantito dalla conoscenza. Il lamento antico attraversò la notte.Quando tornò a rivolgersi al giardino, Brian ritrovò la banshee inginocchiata davanti a lui. La fronte era corrugata, le labbra arricciate dal sentimento d’offesa. I capelli le coprivano il petto, il collo proteso in avanti in modo innaturale. Brian inghiottì a vuoto.«Ti chiedo perdono» sussurrò e allargò le braccia per indicare la fila di violette che aveva interrato lui stesso. Secondo la tradizione della famiglia McMiller, doveva essere il fiore preferito di Lorelei. La banshee mosse gli occhi arrossati ai lati della veranda. Tornò su Brian, chinò il capo verso sinistra e le lacrime ripresero a scendere. «Dimmi come morirò» propose, rincuorato. «Così sarò certo di rispettare il mio momento.»Il pianto si fece disperato, emise il secondo lamento. La vicinanza con la fonte ferì la mente di Brian, che si portò le mani alle orecchie. Proprio in quel momento, Lorelei si avvicinò ancora e mosse le labbra come a voler rispondere. Quando Brian tolse le mani dalle orecchie, il messaggio si era già concluso. La banshee si voltò e prese a trascinarsi nella nebbia. Le gambe parevano inerti, si aggrappava ai ciuffi d’erba. Dopo qualche metro, alzò il busto sostenendosi con le braccia, espose il volto alla luce della luna e pianse la terza volta. La figura affondò nella nebbia e scomparve, come la notte precedente.
Brian rientrò a casa alle sei di sera. Un orario normale, non era successo alcunché fino a quel momento. Cominciava a pensare che la banshee l’avesse risparmiato. Evitare la morte una prima volta lo aveva riempito di uno strano sentimento. Sentiva di aver vinto, in qualche modo. Dal piano superiore proveniva un pianto scomposto, accompagnato da una canzone. Brian salì le scale, attraversò il pianerottolo e si affacciò alla stanza dei bambini. Isabelle era seduta sul letto e si schiacciava le mani sulle orecchie. Il volto contratto in una smorfia che faceva presagire si sarebbe unita presto al pianto. Al centro della camera, Loreena camminava e dondolava il neonato, nel tentativo di calmarlo.Brian entrò e si diresse alla bambina, che appena lo vide allungò le braccia. Le posò un bacio sul capo e la prese in braccio. Si avvicinò alla moglie. Loreena sorrise, un sorriso appannato dalla stanchezza. Si baciarono, Brian si unì al canto. Dopo qualche strofa, Isabelle emise delle parole a casaccio nel tentativo di imitarli. Alan prese a fissarli, incuriosito. Lo sguardo del neonato si posava sugli occhi della madre, si allontanava, tornava su quelli della sorella, si assentava di nuovo. Pian piano, il pianto si dissipò e Alan prese a succhiarsi l’alluce, concentrandosi sulla madre.«Sean?» chiese Brian. Loreena si guardò attorno. «Deve averlo preso Felicia, non ricordo» mormorò. La fronte si aggrottò, le labbra si stesero verso il basso. La stanchezza stava avendo la meglio sull’animo della donna. Si avvicinava alla disperazione e ne veniva stuzzicata.«Tranquilla» disse subito Brian per risparmiarle le lacrime. «Lo cerco io.» Loreena annuì, grata. Si avvicinò alla finestra e si sedette sulla seggiola a dondolo. Brian la guardò, afflitto. Non voleva lasciarla sola, ma aveva già offeso una volta la banshee. Si piegò sul letto e sciolse l’abbraccio con Isabelle.«Fai compagnia alla mamma, è molto stanca.» La bambina lo fissò per qualche istante, prima di scendere dal letto e avvinghiarsi alle gambe di Loreena. Era evidente che l’espressione e le parole del padre l’avevano turbata. La moglie accarezzò i capelli di Isabelle e lanciò un’occhiata preoccupata a Brian.Lui si voltò e uscì dalla camera. Attraversò di nuovo il pianerottolo e cominciò a scendere le scale. Dopo qualche gradino, si bloccò. Il piede rimase sospeso sopra uno straccio umido. Ripensò alle labbra della banshee e si rese conto che le sue parole erano state: “quinto gradino”. Allungò la mano verso il corrimano, si fermò ancora. Doveva farlo. Trasse un respiro e fece per lasciarsi andare, quando Sean entrò gattonando nell’ingresso. La domestica al seguito. Brian afferrò il corrimano e allungò la gamba. Perse l’equilibrio, picchiò il fondoschiena sugli scalini. Sentì la nuca cozzare contro il legno e perse i sensi.
III
Quando riaprì gli occhi, Lorelei stava al capezzale del letto. La banshee aveva smesso di piangere. Il volto contratto dalla rabbia. La camera da letto era illuminata, la finestra aperta e la leggera foschia nascondeva tutto al di sotto di un metro. Il respiro di Brian diventò affannato, cominciò a scuotere il capo. La banshee si abbassò su di lui, avvicinò le labbra all’orecchio.Brian trasse un respiro prima di sentire la testa trafitta dalla nota acuta. Una scarica nervosa attraversò il corpo. Chiuse gli occhi, spalancò la bocca nello spasimo e artigliò le lenzuola. Si rilassò. Spirò.