Anno: 2012
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 102’
Genere: Azione
Nazionalità: USA
Regia: Asger Leth
New York oggi. Un uomo esce dalla metropolitana con una valigetta in mano. Il primo colpo di scena: ha un mullet inspiegabile per il 2012. Entra in un albergo, prenota una camera, chiede champagne per colazione, mangia e, deciso, si piazza sul cornicione. L’uomo è Nick Cassidy (Sam Worthington), un ex poliziotto, ora galeotto evaso di prigione, accusato di aver rubato e rivenduto un diamante. Tutto fa pensare ad un imminente suicidio, ma Cassidy sembra avere un piano preciso (a 78 metri d’altezza sarebbe il minimo) che il regista Asger Leth ci svelerà gradualmente nel corso del film.
Nick Cassidy vuole riscattare la sua buona reputazione di ‘sbirro’, urlando dal cornicione la sua innocenza; a provare a dissuaderlo ci pensa il detective Lydia Mercer (Elizabeth Banks), stereotipata figura di donna che “sa il fatto suo” e fa tremare tutti i maschietti del Dipartimento di polizia di New York. I 102 minuti del film saranno giocati su continui colpi di scena e stravolgimenti che ci allontaneranno sempre più dall’ipotesi di un semplice “addio mondo crudele” da parte dell’uomo.
A quanto pare nei film d’azione di questi ultimi anni, e in America soprattutto, la verosimiglianza dei copioni è un accessorio e 40 Carati non fa eccezione. Ma un paio di trovate sono davvero geniali. Involontariamente. Nel corso della storia ci si imbatte in un due personaggi degni della penna di uno sceneggiatore di serie tv per adolescenti.
Il primo è la cronista televisiva Suzie Morales (Kyra Sedgwick), dipinta come uno sciacallo a caccia di scoop a qualsiasi costo, in grado di scommettere sorridendo persino sulle probabilità che il povero Cassidy salti giù. Contro questa donna è concentrata la “sottile e acuta” critica nei confronti della tv scandalistica americana. Scappa un sorriso quando, durante il delicato lavoro psicologico della Mercer per salvare Cassidy, la tensione della scena è interrotta dall’inferno scatenato da un elicottero della stessa troupe televisiva che cerca di effettuare delle riprese a due metri di distanza dal cornicione: l’uomo si aggrappa ad un pilastro, tentando di restare in vita nonostante si sia alzato giusto un filino di vento. Come dire, la tv è morte.
Il secondo è un tizio tra la folla (sembrerebbe un barbone parecchio adirato con la vita), dalla cui bocca lo sceneggiatore, che non è Asger Leth, fa uscire delle massime (sempre “sottili e acute”) sull’eterno conflitto fra ricchi e poveri. Sono loro due il vero colpo di genio di questa pellicola. Il film poi andrà avanti, fra gente simpatica e per bene in grado di scassinare fortezze inespugnabili, flashback e scene d’azione abbastanza mozzafiato (l’inseguimento in auto nella prima parte è davvero realistico).
Tre le cose positive: una buona dose di tensione, un grande (come sempre) Ed Harris e Genesis Rodriguez. Il finale scivola via, tra folle acclamanti che fino a qualche minuto prima avevano incitato l’uomo a buttarsi giù, il suddetto (presunto) barbone che urlerà un ambiguo “ti voglio bene” a Cassidy, proposte di matrimonio e defunti che tornano in vita. Tutto concentrato in cinque o sei minuti. Splendido. God bless (this) America.
Un’ultima nota: i titoli italiani. 40 Carati è un titolo orribile; perché non lasciare (o tradurre) l’originale, decisamente più interessante, Man on a Ledge? Oppure The Mullet…
Riccardo Cammalleri
Scritto da Riccardo Cammalleri il feb 1 2012. Registrato sotto IN SALA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione