Nel 1977 Edoardo Bennato propone un album destinato a entrare nella storia, come del resto la fiaba italiana -che il cantautore riscrive in chiave moderna- fece nel 1883 quando venne pubblicata.
Le avventure di Pinocchio lascia tutti senza parole e il simbolo proposto da Collodi diventa un’icona mondiale: l’America può vantarsi di uno dei classici Disney più famosi, il Giappone dal canto suo propone un bellissimo anime, e nonostante i molteplici film proposti, il burattino continua ad avere appuntamenti al cinema.
Pinocchio non è l’unica favola che Bennato trasforma in musica, ma è probabilmente quella a cui è più affezionato poiché è quella che lo ha innalzato sull’eremo dei cantautori di successo ed è il personaggio che ancora oggi richiama in nuovi singoli (Al diavolo il grillo parlante).
Siamo ben lontani dall’aria Sessantottina che si respirava nei precedenti capitoli di questa rubrica, ormai il fenomeno si è spento, e i miti sono crollati, il cantautore -prima simbolo della rivoluzione- è adesso considerato un buffone, o per usare le parole di Bennato un saltimbanco.
L’intero lavoro prosegue su due linee parallele: da un lato c’è un episodio tratto dal romanzo, dall’altro ciò che quell’episodio rappresenta secondo il punto di vista del cantautore.
Proprio per questo, l’album non segue l’ordine cronologico degli eventi descritti nel romanzo. La prima traccia propone addirittura una scena che si troverebbe dopo l’ultimo capitolo e stravolge completamente il finale da “felici e contenti”.
E’ stata tua la colpa considera negativamente tutta la ricerca del protagonista di voler diventare un bambino vero, questo perché in effetti nella società dei “veri”, il sistema controlla tutti come fossero burattini. Pinocchio è il burattino senza fili che quei fili li ha voluti per diventare come gli altri, per omologarsi, ma subito dopo (quando è troppo tardi) si pente amaramente della scelta.
Il testo comincia alludendo molto alla fiaba, ma poi si allontana nettamente, passando al concreto: nelle strofe finali si descrive lo “scolaro ribelle” che un tempo vendeva i propri libri. Questi è oramai cambiato: si è affidato al sistema che lo ha riempito di fili e lo ha costretto a leggere libri. E si tratta di una metafora quella dei libri: parlando infatti dei libri di storia sottolinea come la guerra viene considerata importante e come viene insegnata facendo capire che è una cosa seria; a questo contrappone le cosiddette “stupidaggini” che si inseguono quando si è giovani e non si vuol pensare a ciò che gli adulti considerano importante…
Le due parti della canzone si distaccano decisamente per l’immagine di sfondo che passa dalla favola dai colori sbiaditi alla cruda realtà… è un guardare dietro il palco, un abbattere ancora una volta la visione classica della storia!
E si parla di fili nella prima traccia, gli stessi fili che Bennato ci fa prendere tra le dita per seguirli fino a chi questi fili li fa muovere per far ballare i burattini…
Mangiafuoco è il simbolo del potere: colui che scruta e gestisce tutti ed è al di sopra di tutti: gestisce gli spettacoli ed è lui che sta alla cassa senza che le lotte e le proteste lo tocchino minimamente, chiunque sia l’Arlecchino e il Pulcinella della situazione che son lì a spaccarsi le ossa.
Ma Mangiafuoco è soprattutto colui che isola coloro che i fili non li hanno e li identifica come pazzi, e lo fa sempre utilizzando i suoi burattini. La morale è semplice: Mangiafuoco è la società malata che vince per maggioranza i pochi sani e li costringe ad adattarsi per sentirsi accettati dal sistema come normali.
Già al secondo brano si sono delineati vari stereotipi che nel corso dell’album acquisteranno ulteriori significati e verranno affiancati da altri simboli.
Come per il brano precedente, La Fata prende uno dei personaggi della storia e lo trasforma in un simbolo.
In questo caso parliamo dell’unico personaggio femminile del romanzo, la fata appunto, che Bennato utilizza per rapprestare l’intero mondo femminile. La canzone critica la società (in questo caso circoscritta al genere maschile) che non concede alla donna la scelta dell’ingenuità e che considera come oggetto di proprietà di cui vantarsi come di una preda catturata.
La traccia successiva resta molto fedele al brano di riferimento (differentemente dalle precedenti che -nel caso della prima- raccontano di quanto accaduto successivamente all’ultimo capitolo o -nelle altre due- prendono un personaggio e lo trasformano in un simbolo).
In prigione, in prigione presenta un struttura simile a quella della barzelletta: un alternanza di strofe e ritornello con un fulmen in clausula alla fine.
L’episodio a cui si rifà segue la truffa ai danni di Pinocchio da parte del Gatto e della Volpe che lo derubano delle cinque monete d’oro. Il povero burattino viene portato dinnanzi a un giudice che lo condanna alla prigione.
Bennato interpreta proprio il giudice che, strofa per strofa, condanna alla prigione tutti coloro che possono risultare “fastidiosi” sotto vari punti di vista (nomina tra i tanti gli avvocati seri, i giornalisti troppo curiosi e le persone troppo rispettose della legge) e ogni condanna è supportata dalla gente che ripete più volte in coro “in prigione, in prigione”.
Lo stravolgimento di cui parlavo sopra si ha quando Bennato con una descrizione semplice apre un’enorme parentesi all’interno della quale è possibile racchiudere tutti coloro che meriterebbero davvero la galera (gli sfruttatori in giacca e cravatta che pensano solo all’arricchimento proprio a scapito degli altri) per mandarli al fresco. Ma la gente -che fino a quel momento lo aveva supportato- comincia a considerarlo un santone e condanna alla prigione lo stesso giudice.
La critica dunque è indirizzata alla legge, o meglio a chi la legge la muove a proprio vantaggio. Ma è anche diretta alla gente che si lascia condizionare dai mezzi di comunicazione e rifiuta coloro che mostrano la realtà per quella che è risultando scottante.
Dopo la confusione che si crea al termine della traccia precedente e che sembra richiamare i vecchi lavori (Ma chi è?) giunge il brano seguente che si apre con un assolo di un quartetto d’archi. Questa volta a ispirare la canzone è il seguente episodio: Pinocchio è malato e si trova nella casa della Fata circondato da una platea di Dotti, medici e sapienti. A turno ognuno di loro cerca di comprendere la causa del male del burattino.
La situazione è molto sarcastica e richiama alla mente le lamentele che gli adulti rivolgono ai giovani.
Tra le varie figure compaiono un medico, un comandante militare, il direttore della scuola.
Come il precedente, anche questo brano presenta una struttura simile per tutta la durata tranne alla fine. Il cantautore stesso infatti entra nella stanza e con umile sincerità si presenta alla platea.
Da statica che era, la canzone diviene improvvisamente movimentata: Bennato comincia a gridare al burattino di scappare dalla stanza, anche sentendosi male. La musica stessa sembra impazzire e, dopo aver raggiunto una velocità notevole, si ferma all’improvviso, lasciando libero accesso alla traccia successiva.
Con Tu grillo parlante, Bennato continua la sua critica sociale. Precisamente con questa canzone volge lo sguardo verso il mondo della falsa cultura che viene diffusa tramite i mezzi d’informazione e in particolare la televisione.
Il brano comincia molto lentamente, ma dopo un’introduzione di 1:14 minuti propone un ritmo incalzante e piacevole che accompagna ottimamente il testo.
A seguire Il gatto e la volpe, sicuramente la più famosa dell’album e in generale dell’intera discografia. Inizialmente -come dichiara il cantautore stesso- era indirizzata al mondo della produzione musicale, ma si è poi rivelata perfetta anche per un contesti meno specifici.
Penultima, ma praticamente l’ultima canzone con testo, quando sarai grande, che rispetto alle altre fa prevalere decisamente l’aspetto critico a scapito della cornice favolistica (infatti non vi è nessun riferimento a episodi del romanzo).
La critica è volta verso il mondo degli adulti e al loro comportamento verso i bambini; ma approfondendo la questione si può notare una critica molto più grande che accusa la società per la facciata che propone ai giovani: un mondo che scorre in un’unica direzione dove bisogna rigare dritto e non si può domandare neanche il perché, anche perché la risposta è: quando sarai grande allora saprai tutto (da grande tanto non ci si pone più domande e la frase perde di significato).
A chiudere c’è Dotti, medici e sapienti (strumentale): una versione musicale della traccia 1 del lato B che funge proprio da cornice.
Questo era Burattino senza fili, di seguito riporterò le informazioni tecniche e link di riferimento.
Se ti piace questa rubrica dai un’occhiata anche agli episodi precedenti:
CR ep. 1: Le dimensioni del mio Caos (Caparezza)
CR ep. 2: La buona novella (Fabrizio de André)
[.]
Titolo album: Burattino senza fili
Testi e musiche di: Edoardo Bennato
Anno di pubblicazione: 1977
Casa di produzione: Ricordi
Tracce:
LATO A
- È stata tua la colpa - 5:15
- Mangiafuoco - 4:53
- La fata - 4:08
- In prigione, in prigione - 4:42
LATO B
- Dotti, medici e sapienti - 3:23
- Tu grillo parlante - 4:02
- Il gatto e la volpe - 2:59
- Quando sarai grande - 4:47
- Dotti, medici e sapienti - versione strumentale (ghost track) – 1:45
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