L’Atletico Madrid è la cenerentola che arriva in finale. Non la più forte. Ma strada facendo ha visto crescere braccia, torace e gambe fino ad assomigliare a un gigante. Grazie allo spessore che Simeone ha saputo dare alla sua creatura; prima nello spirito che nel fisico.
Il Cholo supera Mourinho e, alla fine, non sembrava nemmeno più un’impresa. Finale di Champions League centrata dopo 40 anni e Liga a portata di mano. Una stagione fantastica. E allora ci sono almeno 5 cose che insegna l’Atletico Madrid. A tutti, nessuno escluso.
5 cose che insegna l’Atletico Madrid
Partendo dal fatto che non vince sempre il gruppo più forte, la squadra più blasonata o quella che vanta più star tra gli interpreti. Messi, Iniesta, Neymar, Robben, Ribery sono tutti a casa e la finale la guarderanno dal divano. Un gruppo può essere un coro, per dirla come Sacchi, ed è proprio vero che il gioco di squadra vince sulle individualità. Se queste non sono coordinate tra di loro, fanno più danni che altro.
Chi spende di più non trionfa per forza. L’Atletico Madrid non ha ancora vinto niente allo stato dei fatti, ma si è creato col sudore gocciolante sulla fronte i presupposti per trasformare l’occasione in un sogno che si realizza. Già essere a questo punto è una conquista, una vittoria. Simeone non ha Bale tra le fila, ma Diego Costa, e non è poco. Non ha Ronaldo o Modric, ma Arda Turan e Koke. Calciatori, nessuna star. Talvolta gente che è stata rispolverata e rilanciata, tornando utile. Diego, Tiago Mendes: due ex juventini che ricordiamo tutti, o quasi. Non Mr. 100 milioni. Per arrivare in finale di Champions League, non è necessario.
Una cessione dolorosa come quella di Falcao non deve far disperare. Nel calcio si può ricostruire e certamente migliorarsi. La Juventus può prendere appunti e rileggere il taccuino quando avrà la tentazione di sedersi al tavolo con Florentino Perez o Al Khelaifi per Pogba; a seconda se preferirà Parigi o Madrid. È andato via il migliore ma è spuntata una vecchia conoscenza itinerante come Diego Costa a cui è stata data fiducia. Non è obbligatorio pescare ex novo, a volte basta avere fiducia nei propri mezzi. Se vi viene da sorridere è perché spesso avete sentito questo discorso proprio in Italia. Gente che vola altrove ed esplode (Coutinho), gioca (Flamini), si consacra (Pierre Aubameyang).
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È vero che il 4-2-3-1 è il sistema di gioco più affascinante e di stampo europeo, a trazione offensiva e con una buona dose di fantasia. Ma non è l’unico. Il “vecchio” 4-4-2 o 4-4-1-1 – poco cambia – è un modo di giocare che può dare soddisfazioni. E questo accredita chi sostiene non siano i numeri, ma come essi vengono interpretati in campo, a fare la differenza. Difendersi insieme, ordinati, attaccare allo stesso modo e rientrare: quello che l’Atletico Madrid fa da tutta una stagione. Questi, detti in maniera molto spicciola, sono i modi di rincorrere la sfera che fanno effettivamente la differenza.
L’allenatore capace emerge, sempre, se sostenuto nella maniera giusta. Simeone ha già dimostrato il suo valore ancor prima di vedere come andrà a finire tutta la storia. Una Europa League, una Supercoppa europea, una Coppa del Re, a due anni e mezzo dal passaggio del testimone con Gregorio Manzano. Sostenere un allenatore nelle scelte e dargli fiducia paga, e anche questo è un elemento che fa la differenza. Ha lavorato in un ambiente tranquillo, mantenuto certamente anche grazie ai risultati positivi. Quando le cose non sembravano però andare per il verso giusto, tra gennaio e febbraio sono arrivate tre sconfitte pesanti, una via l’altra, non si è parlato di crisi, allenatore in discussione o avvicendamenti paradossali. Nemmeno per un istante.
Quante volte abbiamo sentito simili sproloqui?






