Per la rubrica “5 libri da leggere“, questa volta abbiamo chiesto a Veronica Tomassini, autrice di Sangue di cane, già recensito (molto positivamente) sulle nostre pagine, di scegliere cinque libri che ritiene essenziali per la sua formazione, cinque titoli che, in definitiva, sente di poter consigliare ai nostri lettori. Ringraziando Veronica per la sua disponibilità e gentilezza, vi proponiamo di seguito il suo interessantissimo intervento.
Prima che il gallo canti
Veronica Tomassini I libri di cui vi accennerò sono i libri della mia formazione. Ce ne sarebbe molti altri da citare, ma bisognava fare una scelta, l’ho fatta. Comincio con il neorealismo di Cesare Pavese ne Prima che il gallo canti, ripubblicato da Einaudi di recente. Io ho la versione Oscar Mondadori (molto datata) in cui ci sono entrambi i racconti lunghi (“Prima che il gallo canti” e “La casa in collina”). Perché Pavese, perché quel testo, è presto detto: per tornare alla letteratura, quella che racconta un tempo preciso; per leggere ed incocciare uno di quei casi (cito letteralmente Emilio Cecchi) in cui s’era cercato uno scrittore e si è trovato anche e soprattutto un uomo. Pavese perché nutriva le mie stesse aspirazioni, innocenza e fervore umano, questo era il suo dramma, la sua innocenza tradita, rivelata nelle vicende di un giovane dissidente a suo modo, un proscritto, negli anni della seconda grande guerra; Stefano, il protagonista, bardato di malinconia, nel suo confino, è struggente e perentorio, condannando così il genere umano ad una irreparabile solitudine.
Le ambizioni sbagliate
Ancora neorealismo con Alberto Moravia de Le ambizioni sbagliate, rieditato nel 1963 da Bompiani. Quel che è in mio possesso è l’edizione Garzanti, invece, del 1974. Ho amato moltissimo Moravia, ho amato moltissimo il personaggio femminile di questo romanzo, Andreina, capricciosa, voluttuosa, banale come certa borghesia che l’autore raccontava con impietoso, crudele disincanto. Un romanzo che ho letto e riletto parecchie volte nel tempo, dove ogni passione si traduce nel suo significato più greve, dove quel che il romanticismo elevò, qui si rovescia in fallimento, in tragedia. Andreina rappresenta poi la grande forza narrativa, in fondo colei che ne fece il romanzo più dostoevskiano scritto in Italia, considerato che fu pubblicato per la prima volta nel 1935.
Continuo e aggiungo alla lista L’ottavo giorno della settimana di Marek Hlasko (edizione integrale Mondadori, 1963). Scrittore polacco, Hlasko, morto di alcool, giovanissimo. Raccontava la Polonia degli anni di Gomulka. Erano gli anni in cui gli scrittori dovevano prendere posizioni ufficiali, indottrinate se così si può dire. Hlasko nella sua prosa scarna, laconica, denuncia la sua giovinezza tradita, la sua Polonia periferica, notturna. Con i suoi barbari avventori, ubriachi di ideologia, apologetica ideologia. Violenza, disumanità, alienazione, questi sono i temi affrontati da Hlasko in grado di restituirci la sua umanità dolente, celebrata con un ghigno che ha il suono del singhiozzo.
Tropico del cancro
C’è stato poi il libro che mi ha ispirato una diversa idea dell’amore, Il riposo del guerriero di Christiane Rochefort. In prima, in una vecchissima edizione Longanesi, compare una fascettina che recita: “Il romanzo più anticonformista della Francia, famoso per aver fatto arrossire la signora de Gaulle”. Ricordo i miei sussulti leggendo pagine così nuove, così scandalose. La commovente attrazione tra Genevieve e Renaud, diseducato nelle faccende amorose, intemperante, alcolizzato, mi è rimasta addosso a lungo. Una scrittrice che ho ammirato per la capacità quasi sovversiva di imporsi, anticonvenzionale, sopra i ranghi. Ho desiderato un amore simile da allora, un uomo simile, un coraggio simile.
Chiudo con Henry Miller ne Il tropico del cancro (ho l’edizione Feltrinelli del 1967). Un romanzo autobiografico, con tutta probabilità, che raccontava di una Parigi popolata nella sua frangia più oscura da artisti squattrinati, debosciati di ogni specie, americani soprattutto, ambientato negli anni ‘30. E forse Miller rappresentò l’outsider, l’anti Hemingway. Un romanzo audace, che guadagnò meriti e riconoscimenti a distanza, diventando paradossalmente il vero romanzo degli anni ’60.
Veronica Tomassini per Libri Consigliati