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Non ci si aspetta che un film come 50 e 50 possa essere divertente. A partire dal titolo, perché una probabilità su due è poco, pochissimo quando si tratta della probabilità di vivere o morire. E poi chi è che ci scherza sopra, sulla malattia, la morte e il dolore? Nessuno, di solito. Se fai una battuta su un malato terminale sei un cinico stronzo insensibile, se un malato terminale fa una battuta su se stesso, poveretto il dolore lo ha fatto uscire di senno. Se ci fai un film sopra rischi il boicottaggio, a meno che tu poi non ci metta un bel lieto fine (alla fine), che a compromessi ci si deve scendere sempre.
Adam ha 25 anni e conduce una vita tranquilla. Non beve (molto), non fuma e non guida perché è pericoloso. Ha una ragazza ma le cose non vanno benissimo a letto, ha un lavoro in cui è molto meticoloso. Poi, un giorno, scopre di avere un raro tumore alla colonna vertebrale e di avere il 50% di possibilità di sopravvivere e tutto, all'improvviso, cambia.
Jonathan Levine non è quello che definiremmo propriamente un regista senza macchia. Cioè, dopo questo film ha girato Warm Bodies. Però è uno di quei registi che ha fatto bene al cinema indipendente, e il cinema indipendente fa bene al cinema mainstream. Quando poi riesci a mischiare le due cose, allora il gioco è fatto. Lo sguardo di Levine sulla storia di Adam è leggero, ma non superficiale. 50/50 cerca sempre di strappare una risata ma senza forzature. E funziona, perché ogni battuta non stona mai con il leggero procedere degli eventi anche se si tratta di un argomento tanto drammatico. Fino a che il dramma non esplode con tutta la sua potenza dopo interi minuti di latenza. E allora riesce persino a fare male, a colpire lì dove, fino a quel momento, ci aveva solo sfiorato.
Scritto dallo sceneggiatore Will Reiser, 50 e 50 è un film autobiografico. Forse. Quindi il lieto fine è più che comprensibile. Ma sembra non venga mai messo in dubbio. Non si tratta di un film che cerca il colpo ad effetto, si tratta più che altro delle dinamiche personali di un uomo che, ad un certo punto, deve mettere in dubbio il suo stile di vita e i suoi affetti. Metterli in dubbio e affrontarli, affrontare la vita proprio quando questa è sul punto di svanire. Per la serie: diamo importanza alle cose solo quando siamo sul punto di perderle? No. Perché Adam è un bravo ragazzo, attaccato alla vita, che ama la vita. Il suo difetto più grande è quello di esserci talmente attaccato da non riuscire più a mettere in dubbio il proprio stile di vita. Ma una malattia come il cancro lo altera, lo distrugge. E quando la routine viene fatta a pezzi, bisogna fare i conti con quel che c'è al di fuori di quella gabbia dorata.
Non avrei mai pensato di poterlo dire, ma Joseph Gordon-Levitt in questo film funziona veramente bene. Ha la faccia giusta, lo sguardo giusto, il cranio giusto. Certo, con una spalla come Seth Rogen tutto è più facile, c'è Bryce Dallas Howard che è è bellissima. C'è Anjelica Huston, roba da mettersi semplicemente in ginocchio e pregare. E poi arriva Anna Kendrick, che oltre ad essere bella è pure dolce, quindi mai scelta migliore fu fatta per quanto riguarda il cast. Ma in questo film tutto funziona bene, non si eccelle in nulla ma tutto fila liscio tra commedia e tragedia. Ogni tanto fa piacere vedere film del genere. Film che affrontano cose che fanno paura senza per questo (s)cadere nel patetico. Perché non bisogna essere per forza pesanti nell'affrontare un argomento pesante, anche se la maggior parte della gente continua a pensarla diversamente.
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