53. Lo giuro

Creato il 06 maggio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su maggio 6, 2012

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- E la faccenda del tango?
- Come spiegarla meglio? Lei se n’è uscita così, senza un motivo. O meglio, il motivo c’era, ma io non l’ho capito. Vivacizzare il rapporto? Liberarlo dai soliti discorsi di bambini difficili e assistenze poco redditizie? Sì, voleva sfuggire alla routine, aveva realizzato che il suo uomo non era un poeta e senza quello una donna non può stare, per questo ho pensato di colmare il vuoto con le Ceres, le corse lungo il litorale, il rischio di romperci l’osso del collo da un momento all’altro. Sul momento le piaceva, rideva di nascosto, poi cominciava a preoccuparsi, per il mio fegato, o per la sua incolumità. Insomma, mi ha fatto capire che la poesia non si baratta facilmente, nemmeno con otto birre corrette con tequila. Più voleva convincermi, più m’intestardivo; più la immaginavo stretta al partner di turno, più spingevo il piede sull’acceleratore. Una sera litigammo e mi disse sei un fallito. Feci gli occhi di Mario, quando fissava l’interlocutore e non spiccicava una parola. Fu allora che le diedi lo schiaffo. Avevo in corpo più birra che sangue. Lei sussurrò : abbiamo chiuso; scese dall’auto e si avviò per strada, a passo svelto. Lo capisci? Una donna a piedi sulla litoranea può finire male. La seguivo con l’imbarazzo incerto di chi ha un tasso alcolico parecchio superiore al consentito. Ho rivisto, in quel frangente, tutta la mia vita. Mio padre che esortava a studiare legge o medicina, ripetendo che con lo straccio di laurea che avrei preso mi sarei ritrovato a fare l’elemosina. Era terribile pensare alla sua oscura profezia, mentre imploravo Eleonora di risalire in macchina. Mi chiedevo se sarei sopravvissuto all’alternativa secca di vederla piegata nel casqué o nell’abitacolo di un’auto con uno sconosciuto. La notte era piena di luci: faticavo a riconoscere il Carro, la cintura di Orione, il gioiello raffinato delle Pleiadi. Non avendo più argomenti, tentai il tutto per tutto: mentre procedeva con il volto dritto, cominciai a elencarle i nomi delle stelle. La visione offuscata dalle Ceres mi convinse a buttarmi un po’ a casaccio, tanto, incazzata com’era, non mi avrebbe mai scoperto. Mi accorgevo che più gliene indicavo – Denebola, Rigel, Betelgeuse – più il suo viso si sforzava di restare immobile; ma io incalzavo senza scoraggiarmi – Sirio, Antares, Rastaban – e già coglievo un movimento impercettibile del mento, l’occhio si spostava un millimetro più a destra – Gomeisa, Achernar, Rasalgethi – ecco, si voltava, sibilava uno stronzo: eravamo sulla buona strada – Hamal, Capella, Fomalhaut -, finché aprì la porta con violenza e si sedette rannicchiata nella parte opposta, compressa contro la portiera.
- E come andò a finire?
Perdonami, ho bevuto veramente troppo. Non succederà mai più, te lo prometto, anzi, lo giuro.


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